Ape chiama Pianeta Terra. Pianeta Terra rispondi?

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla produzione di miele

Pubblicato su Luglio 02, 2019, 8:05 pm
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Quanto leggiamo in questi giorni sugli effettivi devastanti dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici sulle api e, conseguentemente, sulla produzione di miele non è sterile allarmismo.

Il quadro disegnato dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) nel Rapporto pubblicato a luglio sull’analisi di mercato per il settore apistico e sulle prime valutazioni dei danni economici per la campagna produttiva 2019 non può non destare preoccupazione.

Negli ultimi tre anni, infatti, abbiamo assistito ad eventi atmosferici anomali, proprio in senso tecnico, dove l’anomali rappresenta l’estraneità da modelli prototipi.

Il 2017 è stata caratterizzato in Italia da una siccità da record: dal 1800 non si era mai registrata una così grave scarsità di pioggia.

E con la siccità i fiori non producono polline e nettare.

con la siccità i fiori non producono polline

L’alba del 2018, quindi, si trova a dover fronteggiare una terra che è stata depauperata rispetto all’anno precedente del 22% di acqua (fonte ISPRA – Annuario dei dati ambientali 2018).

Proprio quella terra che, dopo la siccità, si trova costretta da una morsa di gelo.

Alternanza gelo e siccità

Il gelo ha causato la regressione dello sviluppo delle famiglie

Leggendo il rapporto ISMEA e gli effetti del clima 2017 – 2018 sulle api, passano davanti gli occhi scene come tratte da un film, amaro: “L’ondata di gelo che ha colpito l’Italia agli inizi del mese di marzo ha infatti causato la regressione dello sviluppo delle famiglie provocando ulteriori perdite di quelle già deboli e debilitate da un invernamento non ottimale.

Tale andamento meteo anomalo ha inoltre compromesso i raccolti primaverili che sono stati scarsi o nulli in quasi tutta la Penisola”.

Dietro un’ape lavora un apicoltore; che non é soltanto un produttore di alimenti, ma é anche l’attento compagno di una delle specie di animali più sorprendenti e, ahimé, estremamente vulnerabili.

“Gli apicoltori hanno lavorato per portare famiglie sufficientemente forti sull’acacia, nonostante l’elevata mortalità e una situazione climatica non particolarmente favorevole”.

I dati della produzione di miele nell’Italia meridionale parlano chiaro: scarsissima la produzione di miele di agrumi e di sulla.

Non soltanto: “è continuata a mancare la produzione di miele di eucalipto a causa della siccità e dei parassiti che hanno debilitato le piante. In tutta la penisola il castagno che aveva fatto segnare delle annate molto positive grazie al successo della lotta biologica contro il Cinipide, nel 2018 non ha dato rese particolarmente soddisfacenti e produzioni sono risultate spesso di scarsa qualità”.

Gli effetti dei cambiamenti climatici

Le cattive condizioni climatiche hanno pregiudicato le produzioni autunno-invernali; poca resa per il miele di corbezzolo in Sardegna e praticamente azzerata la produzione siciliana di miele di nespolo e di carrubo.

Ricordiamo che il miele di corbezzolo è considerata una vera e propria prelibatezza italiana, probabilmente il più costoso tra i mieli ed utilizzato nelle cucine stellate; vede la Sardegna primo produttore, ma la fioritura autunnale impone un clima mite e privo di sbalzi climatici e grandinate.

Anno negativo, quindi, il 2018, con grave risentimento dell’economia apistica italiana.

Il primo semestre 2019

Gli effetti del climate change nel settore apistico hanno già segnato il 2019.

L’ISMEA non lascia adito a dubbi nell’interpretare l’eziologia dei dati: “Le condizioni meteorologiche particolarmente avverse nella prima parte dell’anno, molto prolungate al Nord, confermano il grave impatto del cambiamento climatico in atto, con eventi estremi molto intensi e frequenti che si rivelano particolarmente dannosi per l’apicoltura determinando perdite molto alte della produzione. In diverse situazioni si tratta di un vero e proprio azzeramento del raccolto di miele”.

Per eventi estremi si intendono “sia i prolungati periodi di siccità, sia le prolungate precipitazioni che danneggiano o annullano le fioriture, sia le basse temperature e il vento, due fattori che impediscono alle api di uscire dall’alveare per bottinare”.

Sul rapporto ISMEA leggi l'articolo
la perdita per il miele d’acacia è stimata intorno ai 55 milioni di euro

È certamente la situazione meteorologica ad aver causato o comunque aggravato i problemi che stanno condizionando la produzione e quindi il mercato 2019: irregolare attività di deposizione delle regine con il conseguente stentato sviluppo delle famiglie e problemi sanitari generali della covata (peste europea, virosi, covata calcificata) a carico delle famiglie indebolite e fortemente stressate e presenza di varroa sopra la media in alcune zone.

Le nostre dispense quest’anno dovranno adattarsi necessariamente: “nel 2019, la perdita produttiva stimata di miele di acacia e di agrumi è di oltre 10 mila tonnellate, pari a oltre il 40% della produzione media annua attesa in condizioni normali”.

In termini economici la sola perdita produttiva per il miele d’acacia è stimata intorno ai 55 milioni di euro

Commentando il dato con gli apicoltori, nessuna sorpresa: cambiamenti cliamtici o clima impazzito? in ogni caso caldo anticipato a febbraio e forti piogge nel mese di maggio hanno compromesso irrimediabilmente alcune fioriture.

Conferma nel rapporto ISMEA: “Le temperature invernali al di sopra della media hanno portato a un buono sviluppo delle famiglie, che all’uscita dell’inverno si presentavano ben popolate, ma con poche scorte a causa della scarsa importazione nettarifera dovuta al clima siccitoso e ventoso di fine inverno. L’abbassamento della temperatura nella primavera 2019 e il perdurante maltempo ha causato consistenti perdite di produzione e frequentissimi episodi di sciamatura, complicando ulteriormente la situazione.

In alcune zone i forti venti hanno causato danni agli alveari e le piogge molto intense hanno determinato esondazioni di numerosi corsi d’acqua, nelle quali sono stati coinvolti spesso interi apiari”.

Tempo impazzito … tempi duri

Tempi duri per le api, quindi, e non soltanto a causa degli avvelenamenti da fitofarmaci che hanno aggravato una situazione già precaria.

Tempi duri perché i dati confermano che non si tratta di eccezionalità di una stagione, come in passato la storia agricola ci ha tramandato.

I cambiamenti climatici portano il senso di impotenza, di visione limitata: acacia, tarassaco, corbezzolo, zagara…. Nel 2020? E nel 2021?

Non è possibile fare previsioni, ma il pessimismo dilaga.

Leggiamo il XIV rapporto della serie “Gli indicatori del clima in Italia” redatto da ISPRA per il 2018: “Il 2018 è stato il 4° anno più caldo della serie storica dopo il 2016,il 2015 e il 2017, … ha segnato il nuovo record di temperatura media annuale, con un’anomalia media di +1.71°C rispetto al valore climatologico di riferimento 1961-1990”.

Sarà una coincidenza? Un quadriennio eccezionale?

I cambiamenti climatici incidono irrimediabilmente in un settore che non può conoscere alternative e difese, perché perfettamente aderente ad un “ordinamento” apistico che non conosce sovvertimenti; a malincuore le nostre api hanno dovuto accontentarsi quest’anno di acqua zuccherata.

Nel mese di luglio sui social imperversavano posts con la richiesta a tutti i cittadini non addetti di contribuire a sostenere le api nell’affrontare la calura estiva: cucchiai di acqua zuccherata o miele nei balconi, vasi decorativi di piante quali calendula, malva o rosmarino.

E dietro le api, lo leggiamo ovunque, non c’è solo il miele, ma il complesso (eco)sistema che gira intorno all’impollinazione.

La situazione è reversibile, lo dicono gli scienziati.

Ape chiama Pianeta Terra… Pianeta Terra rispondi per favore.

Redazione