Non ci siamo inventati niente: la tradizione del cibo di strada ha origini lontane.
Passeggiando tra i resti di Pompei ne abbiamo la prova: si susseguono i “thermopolia”, che consentivano al ristoratore di vendere direttamente sulla strada zuppe e cereali cotti.
Non mancano tra i testi classici le descrizioni di antichi pescatori che vendevano al porto il pesce cotto, tradizione che ancora oggi vige in diversi porti.
Tradizione o costrizione? Poco importa; il cibo di strada è sempre piaciuto.
La leggenda intorno al friggitore
Lo chef di strada più famoso nella Roma dell’Ottocento è certamente il friggitore.
Passeggiando per le piazze di Roma ancora oggi è possibile pasteggiare con frittelle o cartoccetti di verdure pastellate; impensabile passeggiare in giorni di festa e non vedere mega ciambelle zuccherate.
È quel che resta dell’antica tradizione gourmet on the road: il friggitore, o meglio…il Frittellaro.
Pochi sanno che a Roma la tradizione vuole che il più famoso friggitore fosse San Giuseppe; si, proprio lui, il papà putativo di Gesù, il quale avrebbe (inverosimilmente) abbandonato il mestiere di falegname per quello di friggitore.
Non è un caso che nel giorno a Lui dedicato è usanza mangiare le frittelle, i cd bignè (rigorosamente fritti!) di San Giuseppe, detto “il frittellaro”.
Al mercato del Pantheon il 19 marzo attrezzavano un chiosco con i famosi “bigné de San Giuseppe”, immortalato da Jean Baptiste Thomas nel suo En a Rome (1823)
Cibo di strada: pesce fritto e frittelle vegetali o dolci
Possiamo immaginare le strade della Roma ottocentesca come un tripudio di colori e voci, un susseguirsi di banchi dei mestieri del popolo.
Non mancavano, ed anzi regnavano i calderoni di strada, dove con abilità il friggitore preparava i suoi cartoccetti di fritti servendosi di foglie, di vite preferibilmente.
I racconti riferiscono che il più famoso friggitore avesse il proprio banco accanto a via San Giovanna d’Arco, ed esattamente nello scomparso vicolo del Pinacolo al Rione di Sant’Eustachio, non distante da Palazzo Madama.
A proposito di palazzi istituzionali, anche vicino Montecitorio, proprio sotto l’obelisco, le memorie narrano di un friggitore.
A via del Corso no: nella metà dell’Ottocento furono emanati editti per tutelare il decoro della strada già all’epoca dedicata al passeggio ed allo shopping, per cui furono allontanati friggitori e tripparoli di strada.
Non era la prima volta per Roma; nel primo secolo d.C., lo racconta Marziale, Domiziano abolì la vendita di alimenti per strada: “Non più fiaschi appesi ai pilastri… barbiere, bettoliere, friggitore, norcino; nel proprio guscio se ne sta ciascuno”.
L’ascesa di Campo de’ Fiori
Tornando alla seconda metà dell’Ottocento, chiusa via del Corso alla vendita di alimenti in strada, non per caso aumenta la risonanza di Campo dei Fiori e del suo mercato.
Campo dei Fiori diventa teatro di show cooking veri e propri tra le bancarelle, protagonista proprio il friggitore, precursore dell’odierna tradizione culinaria del filetto di baccalà fritto.
Intorno al friggitore si disegna uno spaccato della vita romana ottocentesca, che destava scandalo nei visitatori d’oltralpe come descritto da Silvio Negro quando cita Amedeo Achard (cit. Seconda Roma 1850 – 1870, ed. Neri Pozza): “una famigliarità inesplicabile, che da noi sarebbe mostruosa, unisce a Roma gli uomini di ogni classe… Ho veduto davanti al banco di un friggitore all’aria aperta comprare e mangiare dei pesciolini serviti sopra una foglia di vite un soldato, un pastore, un prete, un signore in abito nero, un cappuccino, un operaio, una nutrice, un mulattiere e due o tre cittadini in marsina. Essi gustavano il loro fritto e discutevano amichevolmente dei suoi meriti”.
La magia dello street food.