Quando la birra era il nettare degli dei

Dall’età della pietra, con i suoi ingredienti segreti, bionda o scura, la birra accompagna la storia dell’uomo e anche del diritto alimentare

Pubblicato su Settembre 02, 2023, 2:56 pm
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Una vecchia pubblicità diceva “ birra … e sai cosa bevi”. Quanta storia resta nascosta dietro il momento in cui stappiamo la bottiglia?

Ebbene sì, per alcuni popoli antichi la birra era la bevanda degli dei al pari dell’ambrosia.

Si tratta, probabilmente, di una delle bevande e delle lavorazioni alimentari più antiche, diffuse già nell’età della pietra.

L’uomo del Neolitico beveva la birra

L’uomo del neolitico conosceva, infatti, consumava la bionda bevanda, o almeno questo è quello che risulta da reperti e strumenti databili anche a dodicimila anni fa.

In Giordania sono stati ritrovati manufatti dell’epoca, ascrivibili alla produzione di birra.

Non possiamo escludere che la birra avesse già da allora finalità anche rituali oltre che di mera conservazione alimentare.

Dopo alcuni millenni, ma neanche troppi, diventa certamente “divina”.

I sumeri e la normativa sulla birra

Iniziamo con i Sumeri, una delle prime civiltà stanziali ed “urbane” nelle terre della Mesopotamia dall’VIII al II millennio a.C.

La birra era sacra, tanto sacra da essere protetta addirittura da una dea, Ninkasi figlia di Enki, dio dell’acqua, nata proprio da una fresca acqua frizzante.

Proprio l’inno a Ninkasi tramanda non soltanto l’importanza per i Sumeri ma anche lo stesso rituale di preparazione con cui la dea produce la bevanda:

dall’orzo al malto fino alla bevanda filtrata, il cui suono ricorda le onde del Tigri e dell’Eufrate.

La bevanda degli dei, quindi, per i Sumeri non era l’ambrosia, miele o idromele che sia, ma la birra!

Ebbene, potrà stupire, ma il miele c’era.

Tra gli ingredienti tramandati con il cantico religioso spiccano due alimenti estranei alle birre tradizionali di oggi: i datteri ed il miele.

la birra nel Codice di Hammurabi

Il sapore era certamente dolce, come qualunque nettare degli dei che si rispetti.

Nel Codice di Hammurabi

La birra sumerica è protagonista di una delle più antiche espressioni di diritto alimentare.

Nel Codice di Hammurabi, intorno al XVII sec. a.C., una norma prevedeva la pena di morte (per annegamento) per chi non avesse rispettato la normativa sulla produzione e commercializzazione di birra.

Guai, dunque, ad annacquarla!

La birra egizia

Non soltanto per i Sumeri la birra era preparata dagli dei; anche i vicini Egizi erano appassionati di birra.

La birra (zythum) era sempre un dono degli dei, nata dallo stesso Osiride che aveva dimenticato un decotto di orzo al sole.

Dopo aver bevuto il prodotto fermentato, amò la bevanda a tal punto da regalarne la ricetta agli uomini.

La procedura era diversa da quella dei Sumeri, che utilizzavano come procedura di partenza un pane “cotto due volte”.

Gli Egizi facevano fermentare un pane cotto soltanto sulla superficie ma crudo all’interno o direttamente i chicchi di orzo ammollati, con aggiunta di vino di datteri e miele.

Usi e varietà

Sono gli Egizi, per quello che ci consta, a dare il via all’esportazione di birra, rendendola famosa nelle terre del Mediterraneo.

Ne diventarono davvero gli esperti, tanto da crearne di vari tipi a seconda delle ricette e delle diverse modalità di preparazione.

La birra egiziana, dunque, era bionda o scura, più dolce o più amarognola, alle erbe o frutta o spezie (famosa quella ai semi di papavero), filtrata (di orzo) o non filtrata (di farro).

E la bevevano tutti vista anche la molteplicità di gradazioni e gusto; non soltanto le donne incinte per contribuire alla formazione del latte (rimedio ancora in voga) ma anche i bambini durante lo svezzamento diluita con acqua e miele.

Era anche utilizzata come rimedio farmacologico ed accompagnava l’essere umano da prima della nascita fino a dopo la morte, dal momento che è stata trovata anche nelle tombe faraoniche o nobili.

Ed è egizio, risalente al III millennio a.C. uno dei primi birrifici su larga scala della storia ritrovato sul delta del Nilo.

Birra di importazione per i Greci ed i Romani

A Roma, quantomeno nel I sec. d.C., la birra era conosciuta, ma non prodotta, per quel che ci tramanda Plinio il Vecchio.

I serrati contatti con l’Egitto hanno portato all’introduzione della birra, che però non è riuscita quantomeno nel primo periodo a sostituire il vino come bevanda preferita.

Probabilmente la birra era considerata più “da donne” il che non era propriamente un complimento all’epoca, per i benefici durante e dopo la gravidanza ma anche per il diffuso uso nella cosmesi, tanto da diventare una delle bevande del culto di Cerere (in latino Ceres), dea della fertilità.

Del resto, ancor prima i Greci avevano importato dagli Egizi l’usanza di bere birra (chiamata infatti zythos), ma rimane un consumo marginale, soprattutto da parte delle donne in occasione di cerimonie sacre in onore di Demetra (divinità greca corrispondente a Cerere).

Tornando ai Romani, più avanti nel periodo imperiale la birra inizia a piacere sempre di più, e cominciano ad essere apprezzate anche le antenate delle birre tedesche.

Non da tutti, però, a sentir Tacito, che le definisce “vino andato a male”.

Ma dalle varie parti dell’Impero, soprattutto dalle penisole iberiche, la birra inizia a diventare sempre più diffusa, fino a diventare una delle passioni dell’imperatore Nerone.

La birra dal medioevo ad oggi

Nella penisola italica, però, la birra storicamente ha sempre avuto un ruolo marginale, confinato in epoca medievale sostanzialmente ai soli monasteri, che danno via ad una tradizione alimentare tuttora apprezzata (molto conosciute diverse birre prodotte secondo ricette di abbazie o monasteri diversi).

Eppure, nel Medioevo ha alcune connotazioni molto peculiari, ma questa è un’altra storia.

Soltanto negli ultimi due secoli la produzione ed il consumo trovano piena diffusione in Italia, diventando motivo anche di conoscenza culturale e sensoriale.

“UN MIELE È PER SEMPRE”, DAI BABILONESI AL MEDIOEVO.

ANFORE: CONTENITORI CHE PARLANO

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