La tiroide è una ghiandola endocrina molto importante, ovvero è la sede di sintesi degli ormoni tiroidei, i quali svolgono numerose funzioni con ricaduta sul metabolismo, sulla funzionalità di altri distretti, tessuti, ecc. Entrando nel merito del dimagrimento, quando la tiroide produce pochi ormoni tiroidei (ipotiroidismo), quando non c’è una corretta conversione di T4 in T3 (cause intestinali, epatiche), a risentirne può essere il metabolismo. Come mai? Per saperne di più, ti invito a leggere questo articolo!
Quando parliamo di problemi di dimagrimento , viene subito da pensare alla salute della tiroide.
Nel momento in cui soffriamo di una patologia tiroidea, come dico spesso ai miei pazienti e come ho scritto sul mio secondo libro “La dieta anti-infiammatoria”, occorre agire a monte e non a valle del problema, bisogna sempre indagare fino ad arrivare alla radice del problema e alle cause che scatenano la malattia.
Tra le tante cause che possono contribuire alla malattia dell’ipotiroidismo, ritroviamo quelle di derivazione tiroidea (ipotiroidismo primario), le altre forme di ipotiroidismo (secondario e terziario) ed anche quelle di derivazione non tiroidea, come ad esempio epatica ed intestinale: intendo dire che il microbiota intestinale può avere influenza sulla ghiandola tiroidea, scatenando fenomeni di infiammazione ed alterazione della funzionalità della tiroide stessa.
Ma come? Cosa incide sulla salute della tiroide?
Numerosi sono i fattori che possono incidere sulla salute della ghiandola, come l’ aumento della permeabilità intestinale.
A dimostrarlo è lo studio di Fasano, incentrato sul ruolo della funzione della barriera intestinale compromessa nella patologia autoimmune.
La barriera epiteliale intestinale, con le sue giunzioni strette intercellulari, controlla l’equilibrio tra tolleranza e immunità a determinate sostanze: quando arrivano in circolo fino alla tiroide sostanze immunogeniche direttamente dall’intestino infiammato, ciò può portare alla produzione di citochine (Th1 e Th17) che cronicizzano il processo infiammatorio autoimmune.
Come ho già parlato spesso su come la salute del nostro intestino può incidere sul sistema endocrino, affinché le ghiandole del nostro organismo funzionino bene, è necessario che vi sia un buon assorbimento intestinale dei nutrienti. Infatti, elementi come lo iodio e il selenio, fondamentali per la salute della tiroide, vengono assorbiti dall’organismo tramite i villi intestinali, che sono la struttura funzionale di assorbimento che caratterizza l’intestino.
Analizziamo, innanzitutto, i problemi di conversione periferica.
Conversione epatica
Affinché possa verificarsi una corretta conversione dell’ormone, però, il fegato e l’intestino dovranno essere in salute.
Iniziamo dal fegato, che converte circa il 40% dell’ormone.
Se la conversione non avviene adeguatamente dovremo detossificare il fegato con uno degli antiossidanti più potenti del nostro organismo, il glutatione (GSH). Questo è costituito da cisteina, glicina e glutammato ed ha la funzione di contrastare i radicali liberi e di evitare l’ossidazione dei globuli rossi; affinché questo possa funzionare correttamente necessita di NADPH, un cofattore che lo rigenera da ridotto ad ossidato, mantenendolo sempre funzionante.
Qualora le concentrazioni di glutatione dovessero essere basse, è consigliabile anche verificare la presenza di una mutazione nel gene GSTM1 (Glutatione S-transferasi mu), che codifica per l’enzima che si occupa di elaborare il glutatione. Se questa è presente, allora diventa inevitabile integrare l’alimentazione con glutatione.
Per favorire la produzione di glutatione naturalmente dovremmo inserire nella nostra alimentazione alimenti come la cipolla, l’aglio, le crucifere (dopo averle ben cotte in acqua) oppure assumerlo tramite integratori, sotto forma di acetil-glutatione, più disponibile poiché attraversa la barriera intestinale integro e va in circolo, infine, si può consentirne la sua produzione tramite l’assunzione di integratori di N-acetil-cisteina (NAC).
Nei processi di detossificazione è coinvolto anche il gene MTHFR, che codifica per l’enzima metilen-tetraidrofolato reduttasi in grado di metilare ed espellere i metalli pesanti, con il supporto della vitamina B6, B12 e del folato.
Se questo gene è mutato, i metalli pesanti rimarranno nel nostro organismo ed ostacoleranno le funzioni di diversi organi. Per verificare se il gene è mutato o meno bisognerà sottoporsi ad un prelievo per il test genetico per l’MTHFR oppure possiamo valutarlo tramite il dosaggio dell’omocisteina in modo indiretto; infatti, se l’omocisteina è alta, uno dei motivi potrebbe essere questa mutazione.
Nella detossificazione del fegato interviene anche un altro enzima, la COMT (Catecol-O-metiltransferasi), che oltre ad elaborare neurotrasmettitori cerebrali, favorisce la disintossicazione nel fegato e nell’intestino grazie al supporto di vitamine del gruppo B. Qualora questo enzima fosse mutato, si potrebbe verificare dominanza estrogenica, spesso presente nelle pazienti sofferenti di tiroidite di Hashimoto.
Conversione intestinale
Oltre a sentir parlare del collegamento fra intestino permeabile (leaky gut) e patologie autoimmuni, l’intestino si occupa del 20% della conversione da T4 a T3. A sostenere questa azione sono i batteri intestinali sani, in grado di produrre l’enzima solfatasi intestinale; infatti, nell’intestino il T4 viene convertito in T3 solfato (T3S) e acido triiodotiroacetico (T3AC), i quali verranno a loro volta trasformati in T3 attivo dall’enzima solfatasi intestinale.
Per cui se questo enzima viene prodotto dai batteri sani è necessario mantenere la flora batterica in euobiosi, quindi in equilibrio. Inoltre, l’infiammazione intestinale riduce anche il T3 aumentando il cortisolo e, quindi, producendo rT3.
Quando si presenta un’infiammazione intestinale, come per esempio nella disbiosi, i villi si atrofizzano e non sono più in grado di assorbire nutrienti essenziali per l’organismo umano.
A causare problemi alla ghiandola tiroidea è proprio il Liposaccaride (LPS), che fa parte proprio dei batteri patogeni presenti in quantità anomale nella disbiosi intestinale. Esso è un componente della parete cellulare dei batteri.
Nel momento in cui l’intestino diventa permeabile, l’LPS può infiltrarsi nel flusso sanguigno danneggiando la tiroide.
Come agisce l’LPS? Va a diminuire uno speciale enzima, l’enzima deiodinasi, che è deputato alla produzione di T3 libero che va in circolo, la forma attiva dell’ormone tiroideo (perché T4 è la forma inattiva dell’ormone). Mentre, contrariamente, la metabolizzazione degli acidi biliari prodotti nella cistifellea da parte dei batteri intestinali aumenta l’attività di questo enzima.
Tutti quei batteri della flora intestinale vanno ad influenzare direttamente la patogenesi di numerose patologie, dall’obesità alle malattie infiammatorie intestinali fino alla sclerosi multipla, quindi naturalmente anche il loro impatto sugli organi del sistema endocrino è oramai noto e risaputo. Si è visto tuttavia che vi è anche un collegamento fra l’alterazione delle funzioni della tiroide e il microbiota intestinale nel momento in cui vi è un fenomeno di disbiosi intestinale .
Questo perché, nelle colture fecali, sono stati rilevati bassi livelli di bifidobatteri e lactobacilli mentre vi erano numerosi batteri da Enterococco in alcuni soggetti affetti da ipertiroidismo, evidenziando quindi il collegamento fra tiroide e microbiota intestinale. Nei soggetti invece affetti da ipotiroidismo autoimmune, è stato visto ugualmente che l’alterazione del microbiota intestinale ha avuto un’influenza sostanziale nelle patologie autoimmuni: questo perché è stato rilevato anche grazie ad esperimenti sugli animali che, in condizioni particolari dove il microbiota intestinale non era costituito dalla flora batterica benefica, essi hanno sviluppato ghiandole tiroidee più piccole rispetto ai campino biologici di cui invece ne erano provvisti.
Le sostanze amiche del microbiota intestinale e gli alimenti che le contengono
In modo particolare, i batteri della flora batterica intestinale producono acidi grassi importanti per la salute del nostro organismo, per contrastare differenti patologie anche infiammatorie.
Questi acidi grassi sono: l’acido acetico, l’acido propionico, l’acido butirrico e l’acido valerico.
Per indurre i batteri a produrre tali sostanze, è necessario ricordarsi di inserire nella dieta sostanze quali:
- inulina (come aglio, porri, carciofi, cipolle, asparagi);
- i FOS (fruttoligosaccaridi contenuti per esempio nelle banane, nell’aglio e nei carciofi);
- la pectina (mele, albicocche, carote, ecc…);
- la gomma di guar (estratta dai bacelli omonomi);
- l’arabinoxilano (nella crusca di farro);
- l’aceto (qualsiasi aceto, come quello di mele a crudo);
- i cibi e le bevande fermentate;
- i grassi (olio di oliva extravergine, olio di cocco…).
Cosa fare per mantenere in buono stato l’intestino?
Per prima cosa evitare che questo diventi permeabile, evitando l’eccessivo consumo di glutine e latticini, ma anche fattori esterni come lo stress e l’utilizzo di antibiotici costante.
Questi ultimi, infatti, sono in grado anche di distruggere i batteri “buoni” dell’intestino, promuovendo disbiosi intestinale. Si consiglia l’uso di probiotici nel ripristinare la salute intestinale e di prebiotici una volta ristabilito l’equilibrio, in modo da garantire il nutrimento per le cellule intestinali.
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