Quote latte: il Gip di Roma dispone l’archiviazione

Il GIP del Tribunale di Roma: "prova della totale inattendibilità e falsità dei dati del sistema"

Pubblicato su Luglio 05, 2019, 12:30 am
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Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma, con provvedimento del 5 giugno 2019, ha disposto l’archiviazione del procedimento sul sistema quote latte.

Il giudizio era stato incardinato contro ignoti per reati di abuso in atti di ufficio, falso, omissione di atti di ufficio, associazione per delinquere e truffa.

Il tutto, infatti, é nato dalle denunce di alcuni allevatori e produttori  contro  ignoti pubblici funzionari che  tra  il  2005  ed  il 2015, avrebbero attestato all’interno come “capi potenzialmente in lattazione” capi che invece non lo erano.

dati falsi compromettevano il sistema quote latte

I funzionari, infatti, erano tenuti a quantificare ed attestare in atti pubblici  facenti fede fino a querela di falso i  “capi potenzialmente in lattazione” che risultavano presenti nella banca dati dell’Anagrafe Bovina ai sensi della legge 119/03 e del D.M. 31.07.2003.

Con ciò influenzando e compromettendo i dati determinanti per il sistema “quote latte”.

La premessa del provvedimento entra immediatamente nel punto culminante della vicenda: “Prima di affrontare le singole questioni” scrive il GIP dott. Paola Di Nicola “quel che è certo è che sia l’attività investigativa che quella difensiva sono pervenute ad univoche conclusioni, a cui si può sin d’ora attribuire il connotato di certezza:

  • i dati posti a fondamento del regime delle quote-latte in Italia sono non veritieri in quanto fondati su autodichiarazioni spesso false e su un sistema di calcolo errato;
  • la falsità dei dati è nota a tutte le autorità amministrative e politiche, rimaste consapevolmente inerti per 20 anni per evitare di scontentare singole corporazioni o singoli centri di interesse, così determinando ingenti danni allo Stato italiano che ha pagato le multe e agli allevatori/produttori che fino ad oggi hanno rispettato le regole tanto da compromettere il regime delle quote e distorcendo la concorrenza.

Fondamento della decisione è il richiamo alla sentenza Corte di Giustizia Europea del 24 gennaio 2018 (proc. C-433/15) che ha accertato che lo Stato italiano, in ambito quota latte ha “assunto comportamenti negligenti e lacunosi come è confermato dai pareri della Corte dei conti italiana e dalle commissioni di inchiesta governative e parlamentari”.

Corte di Giustizia UE: comportamenti negligenti e lacunosi in ambito quota latte

Al di là del mancato recupero di 1,34 miliardi di multe sulle quote latte tra il 1995 ed  il  2009,  l’Italia non ha “predisposto, in un lungo arco temporale (oltre 12 anni), i mezzi legislativi ed amministrativi idonei ad assicurare il regolare recupero del prelievo supplementare dai produttori responsabili della sovrapproduzione“.

Durissimo, quindi, il giudizio sotteso alla motivazione dell’archiviazione: proprio la “mala gestio politico­amministrativa snodatasi  per decenni  e  alla deresponsabìlizzazione dì tutti soggetti che, a qualsiasi titolo, hanno assunto un qualche ruolo nella filiera  del sistema di produzione del latte  e  del  suo  controllo” impedisce “l’individuazione di fattispecie di reato da attribuire a soggetti determinati”.

Come funzionava il sistema “quote latte”?

Il regime delle cd. quote latte, introdotto con il Reg. CEE 856/1984 (successivamente regolamentato dal Reg. CEE 3950/92, dal Reg. CE 1788/2003 ed in ultimo dal Reg. UE 1234/2007), è stato delineato come risposta alle eccedenze strutturali di produzione di latte all’interno del mercato europeo, per uniformare il prezzo del latte riparando così lo squilibrio tra l ‘offerta e la domanda, anche a danno degli allevatori.

In particolare, integrando così il regolamento CEE n. 804/68, veniva fissato ogni anno per ciascun Stato membro una quantità massima di latte da produrre (cd quantitativo globale), determinata in relazione ai dati contenuti nelle anagrafi bovine.

a ciascun produttore di latte veniva assegnata la propria quota

Ciascun produttore era tenuto al rispetto della quantità: in caso di esubero si era costretti a versare una tassa, chiamata “prelievo supplementare”, per ogni chilo di latte prodotto in eccedenza.

Questo prelievo aveva “lo scopo di mantenere sotto controllo la crescita della produzione lattiera pur permettendo gli sviluppi e gli adeguamenti strutturali necessari, tenendo conto della diversità delle situazioni nazionali, regionali o delle zone di raccolta nella Comunità”.

La disciplina comunitaria ha altresì previsto la pre-individuazione e quindi il riconoscimento degli acquirenti di latte dal produttore operanti nel territorio di ciascun Stato membro (cd “primi acquirenti”).

Quindi l’Unione Europea fissava il quantitativo globale per l’Italia e poi la Regione assegnava e comunicava annualmente a ciascun produttore la propria quota latte (QRI quota di riferimento individuale), attraverso il sistema informatico nazionale “quote latte” coordinato dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA).

La normativa nazionale ha, poi, attribuito alle Regioni la procedura del suddetto riconoscimento, con l’obbligo per ciascuna di istituire un apposito Albo regionale dei “primi acquirenti” di latte bovino, nel quale iscrivere le imprese che hanno ottenuto il riconoscimento.

Perché il provvedimento di archiviazione menziona allora le autodichiarazioni?

Il meccanismo di controllo e verifica, peraltro richiamato dal GIP, era il seguente:

  • I produttori individuavano uno o più “primi acquirenti” autorizzati (onere della verifica del riconoscimento a carico del produttore) a cui vendere il proprio latte;
  • Il primo acquirente indicava l’Autotrasportatore addetto alla raccolta quotidiana del latte presso l’allevatore, comunicando le targhe dei mezzi destinati: al momento della raccolta veniva compilato il registro del produttore con giorno, orario e quantitativo consegnato a firma congiunta sia del trasportatore che del produttore;
  • A fine mese e a fine campagna, il primo acquirente comunicava alla Regione competente, i quantitativi conferiti dai produttori di latte; la predetta comunicazione avveniva mediante inserimento dei dati sulla banca dati SIAN dell’AGEA con autodichiarazione.
  • La        Regione,          sempre            tramite             il sistema informatico SIAN comunicava   il totale della      produzione regionale all’AGEA; quest’ultima comunicava il dato del quantitativo prodotto all’Unione europea.
i produttori individuano il primo acquirente per la vendita del latte

Il dato complessivo di latte prodotto doveva essere inferiore o pari al quantitativo globale assegnato all’Italia; in difetto lo Stato era tenuto al pagamento di un corrispettivo economico per l’eccedenza, istituito appunto per la disincentivazione.

Quote latte e prelievo supplementare

Ed ecco il punto nevralgico dell’intera vicenda: lo Stato pagava all’UE ma da parte sua prelevava la quota parte (il prelievo supplementare di cui sopra) da ogni singolo produttore che aveva ecceduto ed in misura proporzionale all’eccedenza.

In sostanza la “penale” versata dall’Italia veniva ridistribuita a carico dei produttori che avevano superato la propria quota latte (QRI).

Evidente che in caso di mancato superamento del quantitativo globale di latte assegnato all’Italia, il produttore che aveva superato la propria quota non veniva penalizzato finanziariamente, proprio perché la maggiore produzione era stata evidentemente compensata da una minore produzione di altro produttore.

Il regime quote latte è terminato il 31 marzo 2015, abrogato dal Reg. UE 1308/2013 che ha reintrodotto il libero mercato; gli effetti economici continuano a ricadere su produttori ed allevatori. 

La conclusione del GIP

Torniamo al provvedimento con il quale il GIP del Tribunale di Roma ha archiviato l’annoso procedimento.

“Sulla base del sistema descritto, fondato su autodichiarazioni (di produttori, primi acquirenti e trasportatori)” appare evidente che “se anche uno solo dei dati acquisiti nel sistema cambiava o veniva alterato, per ragioni lecite o illecite, le conseguenze avrebbero  avuto  effetti  distorsivi sull’intero sistema, con ciò che ne conseguiva in termini  economici  sia  per  i tributi imposti agli allevatori, sia per le sanzioni imposte al nostro Paese dall’UE”.

Ed a questo punto, lapidaria la conclusione del GIP, all’esito di indagini svolte da ben 64  Procure della Repubblica,: “l’unica certezza a cui si è giunti nel presente procedimento penale … è che i dati sui capi che producono latte è falso e che i numeri forniti da AGEA e  dall’Istituto zooprofilattico sperimentale … sono del tutto inattendibili, tanto da conseguirne la non verosimiglianza di quelli concernenti il latte  prodotto. D’altra parte è una questione di mera logica che se è errata la cifra degli animali da cui si ricava il latte, non può che essere errato il quantitativo stesso del latte”.

La certezza della falsità dei dati

Proprio i numeri parlano, costituendo la “prova della totale inattendibilità e  falsità dei dati del sistema”: sono inseriti nelle Banche Dati Nazionali  in uso ad Agea ed alla IZS ben 5.753.822.000 di bovini improduttivi e senza alcun “evento di parto”, pari al 61% degli animali da latte italiano.

L’effetto della falsificazione del dato ricade, necessariamente, sulla dei contributi economici dell’UE, così “illecitamente erogati a società, enti, allevamenti, produttori inesistenti o artificiosamente costituiti, per quasi 6 milioni di capi improduttivi inseriti nel patrimonio bovino produttivo nazionale”.

Perché allora l’archiviazione nonostante l’accertamento della falsità dei dati “quote latte?”?

In questo sistema complesso rappresentato dal GIP del Tribunale di Roma “non si rintraccia, però, una centrale criminale con individuate responsabilità personali, ma diversi ambiti, tecnico-amministrativi, che hanno creato negli anni fortissimi ed occulti centri di potere tutti convergenti nel violare regole e controlli, con i sistemi più disparati, per fare arricchire alcuni produttori e allevatori a discapito degli altri, tanto da viziare gravemente il mercato”.

Dati falsi e controlli meramente formali

Un sistema, dunque, suffragato dalla mera formalità dei controlli : “Se dette attività di vigilanza e controllo fossero state effettivamente svolte, come competeva istituzionalmente agli enti locali regionali, tutte le questioni di carattere economico e amministrativo sopra esaminate, non si sarebbero poste perché sarebbe stato impedito di violare, per decenni, le regole che le istituzioni dell’UE e poi quelle interne avevano posto a tutela del corretto conteggio delle quote latte e dei produttori onesti”.

Questo contesto, infine, di ”malcostume, inerzia, negligenza, approssimazione, connivenze, collateralismo, assenza del senso delle istituzioni e di rispetto delle regole minime di trasparenza e buon andamento della Pubblica amministrazione da parte degli organi preposti ai controlli che per legge avrebbero dovuto provvedervi” ha reso “difficile, se non impossibile, l’individuazione di responsabilità singole per fatti determinati, come la  sede  penale impone”.

Archiviato, dunque, il procedimento penale “quote-latte”; un’archiviazione più dura di una condanna.

Il presente articolo, ai sensi del Regolamento, ha finalità meramente informativa e divulgativa della sentenza in commento; non può costituire un parere legale, potendo non tener conto del complesso normativo e giurisprudenziale.

AGGIORNAMENTO

Istituita Commissione ministeriale di verifica.

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Redazione