La Corte di Cassazione, sez. III penale, con sentenza n. 94040 del 10 marzo 2020 è tornata nuovamente sull’interpretazione della normativa in punto di reati di detenzione e somministrazione di alimenti in cattivo stato di conservazione, ex art. 5, comma 1, lettera b della legge n. 283/62.
In particolare la fattispecie oggetto di disamina viene inquadrata nell’ambito della congelazione “non appropriata” di alimenti.
Con sentenza del Tribunale territoriale, infatti, era stata dichiarata la penale responsabilità di un’imprenditrice, gestore di una struttura ricettiva (Casa Famiglia), in ordine al reato di cui alla legge 30 aprile 1962, n. 283, articolo 5, comma 1, lettera b) e articolo 6 per aver detenuto per la somministrazione sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, con consequenziale condanna alla pena di Euro 9.000,00 di ammenda.
art. 5 1 comma lettera b legge n. 283/62: “è vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari: … b) in cattivo stato di conservazione; …”. - art. 6 legge n. 283/62 “…. I contravventori alle disposizioni del presente articolo e dell'articolo precedente, salvo le maggiori pene previste dal Codice penale sono puniti con l'ammenda da lire 200.000 a lire 5.000,000. Tale ammenda può elevarsi a lire 20.000.000 per le contravvenzioni alle disposizioni di cui alle lettere h) del precedente articolo 5 e a) del presente articolo”.
Il superamento della data di scadenza. Confronto con il cattivo stato di conservazione
Avverso la sentenza era stato proposto ricorso per cassazione: l’imputata desumeva, infatti, che il giudice avesse erroneamente inquadrato la condotta nella fattispecie di cui sopra per la sola circostanza del superamento della data di scadenza.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, riconferma la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale la commercializzazione di prodotti alimentari confezionati, per i quali sia prescritta l’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il…”, o quella “da consumarsi entro il…”, non integri, ove la data sia superata, alcuna ipotesi di reato.
Per la sentenza in esame, si configurerebbe, in tale caso, soltanto l’illecito amministrativo di cui al D. Lgs. n. 109 del 1992, articolo 10, comma 7 e articolo 18 – in vigore all’epoca dei fatti -, salvo che non sia accertato in concreto lo stato di cattiva conservazione degli alimenti stessi.
art. 10, c. 7 D. Lgs. n. 109 del 1992: "E' vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione." - art. 18, c. 1 D. Lgs. n. 109 del 1992 "Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque confezioni, detenga per vendere o venda prodotti alimentari non conformi alle norme del presente decreto, e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione e cinquecentomila a lire nove milioni." La normativa è stata abrogata dal decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 231 entrato in vigore il 9.05.2018.
La questione che viene portata in motivazione, a conferma poi della condanna, è ben altra, ed attiene ad una circostanza che esula dal superamento della data di scadenza riportata sulle confezioni.
In sede di escussione testimoniale, il militare del NAS territoriale intervenuto durante l’operazione di ispezione ha dichiarato che le “derrate alimentari… erano state sottoposte a congelazione con metodi e tecniche non autorizzate…”, circostanza successivamente non contestata dall’imputata ricorrente.
Il rapporto tra congelazione non appropriata e cattivo stato di conservazione
Muovendo dalle risultanze dell’istruttoria, quindi, la Suprema Corte ripercorre la giurisprudenza in materia di congelazione e di procedure appropriate.
A parere della Corte di Cassazione, infatti, la sola congelazione non appropriata é “sufficiente ad integrare il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari considerato dalla disposizione incriminatrice, elemento che, in forza di un risalente e consolidato orientamento, riguarda quelle situazioni in cui le sostanze stesse, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l’osservanza di quelle prescrizioni – di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi generali – che sono dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione”.
Il quadro così descritto rientra nella fattispecie di cui all’art. 5 lettera b) della legge n. 283/1962, norma finalizzata alla protezione e tutela delle sostanze alimentari dal momento della produzione a quello della distribuzione sul mercato.
In questo percorso rientra pacificamente il momento della conservazione.
La tutela del consumatore
La contravvenzione, precisa la Suprema Corte, non è reato di pericolo presunto, ma di danno: la normativa in questione non mira a prevenire con la repressione di condotte che portano a mutazioni dannose (come la degradazione, la contaminazione o l’alterazione del prodotto in sé, la cui pericolosità è presunta “iuris et de iure“), ma persegue una autonoma finalità di benessere.
La finalitàdell’art. 5 lettera b) della legge n. 283/1962, infatti, consiste “nell’assicurare una protezione immediata all’interesse del consumatore a che il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura”.
Tanto è vero che la norma è fonte di una figura autonoma di reato, che semmai può concorrere.
La Corte di Cassazione, in motivazione, richiama un precedente molto citato in letteratura, la sentenza Cass. Pen. Sez. III n. 40772 del 5 maggio 2015, nella quale si rinnova il concetto di danno a tutela del c.d. ordine alimentare.
Già dalla sentenza del Supremo Giudice n. 35828/2004, infatti, è stato chiarito che “la natura di reato di danno attribuita dalle Sezioni Unite alla contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poiché l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura”.
La procedura corretta di congelazione “ordinaria” e l’ordine alimentare
Proprio in richiamo alla giurisprudenza, la sentenza richiama le modalità corrette di conservazione di cibi acquistati freschi e non consumati con riferimento alle procedure corrette di congelazione.
Con la sentenza n. 40772/2015, infatti, la Cassazione aveva ravvisato gli estremi del reato in questione “in una fattispecie di detenzione di 50 kg. di hamburger freschi all’origine sottoposti irregolarmente a surgelazione in assenza di un piano di autocontrollo, dell’abbattitore termico e del termometro esterno”.
Con riguardo a simili fattispecie, la Suprema Corte conferma oggi il proprio orientamento per cui “integra il reato in esame anche il congelamento del prodotto effettuato in maniera inappropriata, in quanto il cattivo stato di conservazione è riferibile non soltanto alle caratteristiche intrinseche del prodotto alimentare, ma anche alle modalità estrinseche con cui si realizza”.
Proprio in merito alle modalità estrinseche, altra pronuncia (n. 15094/2010), aveva già indicato la procedura corretta di congelazione “ordinaria” di un quantitativo di carne, “osservando che, tecnicamente, l’unico procedimento idoneo a conservare la carne nel tempo, alternativo alla surgelazione, è il congelamento mediante ricorso ad abbattitori di temperature”.
A proposito di surgelazione in senso stretto, ricorda la Cassazione, configura sempre reato di detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione la detenzione di alimenti surgelati in violazione del disposto del Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 110, articolo 3 (Attuazione della direttiva 89/108/CEE in materia di alimenti surgelati destinati all’alimentazione umana), nel caso in cui la procedura non sia effettuata “senza indugio” ed aderente alle modalità normativamente previste.
I destinatari della normativa sul cattivo stato di conservazione degli alimenti
La fattispecie ha consentito un’ulteriore precisazione giuridica, circa la pretesa assenza di prova che i prodotti fossero destinati alla commercializzazione.
La “detenzione finalizzata alla somministrazione degli alimenti nell’ambito di un rapporto lato sensu commerciale come quello che si instaura tra il gestore di una struttura ricettiva e gli ospiti della stessa”, in quanto somministrazione a terzi nell’ambito di un rapporto di natura obbligatoria, rientra certamente nella fattispecie incriminatrice.
Del resto, ricorda la Cassazione, la giurisprudenza ha ritenuto pacificamente che la normativa in esame si applichi “alla detenzione di sostanze alimentari da impiegarsi nella preparazione dei pasti da parte di chi professionalmente svolge questa attività in favore di terzi, non solo laddove si tratti di
- società di ristorazione (Sez. 3, n. 46860 del 16/10/2007, Pulejo, Rv. 238449),
- bar (v. Sez. 3, n. 40772 del 05/05/2015, Torcetta, Rv. 264990),
- ristoranti (Sez. 3, n. 46960 del 25/06/2018, Z., Rv. 274029),
- alberghi (Sez. 3, n. 29988 del 13/07/2011, Pollini, Rv. 251254)
- cucine di esercizi pubblici autorizzati alla vendita o somministrazione di alimenti (Sez. 3, Sentenza n. 19179 del 13/01/2015, Callegari, Rv. 263741)”,
- cucine di mense scolastiche (Sez. 3, Sentenza n. 35708 del 22/06/2010, Cristella, Rv. 248489)
- residenze per anziani (Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, dep. 2002, Butti e a., Rv. 220717).
Sulla conservazione del cibo a bassa temperatura in ambiente domestico, Il presente articolo, ai sensi del Regolamento, ha finalità meramente informativa e divulgativa della sentenza in commento; non può costituire un parere legale, potendo non tener conto del complesso normativo e giurisprudenziale.