Nell’antica Grecia il ruolo della donna era molto lontano da quella che oggi potremmo definire emancipazione, con qualche eccezione.
La donna era certamente importante (lo dimostra la presenza di tante dee) ma il suo ruolo, oltre a quello di madre, si limitava alla gestione casalinga: focolare e “conocchia”, lo strumento della filatura.
Esemplificativa l’immagine di Penelope, legata alla tela e alla gestione della casa, quella casa di cui è padrone Ulisse o in assenza sua il figlio Telemaco.
Si, proprio il giovane Telemaco che alla madre consiglia (ordina?) di pensare alle “opere tue, telaio e fuso” ed alle ancelle, anche perché “mio qui in casa è il comando”.
La donna di Atene
La donna ad Atene era un dono, nel senso che veniva proprio donata dal padre allo sposo insieme alla dote; dote che sarebbe tornata al padre in caso di divorzio (il matrimonio era un contratto che poteva essere risolto da parte del marito) o morte della donna senza figli.
L’uomo si occupava degli affari e della vita politico/sociale, la donna si occupava della casa (ruolo che comunque non era considerato di grande rilievo).
Dedita alla cucina ed alla alimentazione, nonché a raccogliere ogni giorno l’acqua preferibilente di sorgente, la donna non poteva consumare i pasti insieme all’uomo, ma in luogo separato; in mancanza di stanze, mangiava dopo l’uomo.
Il cibo era servito dagli schiavi, ma in mancanza di schiavi il cibo veniva servito dalle donne.
In quest’ottica, la donna organizzava anche lauti banchetti (i simposi), dei quali però non poteva prendere parte.
Per questo motivo i Greci guardavano con stupore i banchetti etruschi, noti per la posizione paritetica che rivestiva l’ospite donna.
Sulla donna nel banchetto etrusco, leggi articolo
Non era così in tutta la Grecia.
La donna di Gortina (Creta)
Due sono le civiltà in cui la donna già poteva brandire l’odierno rametto di mimosa.
Poco nota solitamente ai più, è invece nota ai giuristi Gortina, nell’antica Creta.
Gortina ha tramandato uno dei primi esempi di codice civile, anche se limitato (per quel che resta) al libro della famiglia.
Una famiglia meno patriarcale rispetto a quella di Atene.
L’ordinamento prevedeva una strana contraddizione: in ambito domestico la donna era certamente inferiore all’uomo, estranea completamente alle decisioni sull’andamento familiare (addirittura era soltanto l’uomo a decidere se e quali figli tenere).
Ma non era la donna “incapace” ateniese: godeva di diritti ben precisi.
Poteva godere di proprietà immobiliari e mobiliari e liberamente disporne; la dote, che nel frattempo poteva arricchirsi di ulteriori beni ricevuti per eredità, restava di sua proprietà anche dopo un eventuale divorzio, semmai cedendo al marito separato soltanto la metà dei ricavi.
La donna di Sparta
A Sparta, la donna conduceva una vita decisamente diversa da quella delle altre greche.
La donna era paritetica all’uomo, godeva di diritti e sovente era proprietaria immobiliare.
Era lei a scegliere se occuparsi o meno della casa, se dedicarsi alla cucina ed alla filatura o andare in palestra; se impegnata socialmente, le attività casalinghe, preparazione dei cibi compresa, era affidata agli schiavi (iloti).
La donna spartana andava in palestra: si, abbiamo scritto bene.
Gli esercizi ginnici, insieme alla danza, erano una delle attività più amate (o forse socialmente dovute) per le spartane, che prestavano grande attenzione alla cura del corpo.
Ed era motivo di orgoglio per gli uomini, perché una donna forte poteva garantire figli forti, come racconta Senofonte (in Costituzione degli Spartani) precisando che erano previste anche gare sportive per donne.
È proprio una spartana la prima donna, Cinisca, a vincere nelle Olimpiadi (396 e per la seconda volta nel 392 a. C.) nella gara equestre delle quadrighe.
In realtà la donna non poteva partecipare alle Olimpiadi, ma nelle corse di carri vinceva l’organizzatore della squadra, che poteva essere anche una donna come la nobile Cinisca.
La differenza di visione era probabilmente dettata da una caratteristica di Sparta: l’istruzione obbligatoria per tutti, ragazzi e ragazze, affinché la popolazione fosse forte, capace, colta ed abile.
L’istruzione della donna spartana
La scuola era obbligatoria dai 7 anni circa fino ai 18; alle donne non era riservato soltanto lo studio delle arti (musica, canto, poesia e danza) ma anche lo sport come per gli uomini, neanche troppo soft dal momento che, è provato, praticassero anche la lotta.
L’insegnamento della scrittura e lettura era limitato, ma in ogni caso rivolto ad entrambi i sessi; si prediligeva lo studio a memoria. L’istruzione aveva ad oggetto soprattutto l’esercizio fisico e la disciplina, più rigorosa per gli uomini.
Dopo la scuola, le ragazze si sposavano, più grandi delle altre spose greche e… in abito corto.
Le spartane erano famose (e anche viste con velato disprezzo dagli altri greci) per gli abiti succinti, che indossavano anche quando praticavano sport.
La donna di Sparta era piena cittadina e libera, anche di avere un giovane amante, che addirittura poteva essere il benvenuto per il marito più attempato a garanzia di figli forti e sani.
La donna spartana e l’alimentazione
Senofonte tramanda un’altra usanza tipica in Sparta legata al mondo della donna e dell’alimentazione: gli uomini nutrivano attenzioni per la donna in stato interessante.
Alla donna venivano riservati pasti più moderati e porzioni più piccole; il vino era bandito od al massimo le veniva servito annacquato.
Il parto era visto come il momento di massima rilevanza sociale per la donna: non è un caso che nei riti funebri venisse inciso il nome del defunto solo se uomo morto in battaglia o donna morta durante il parto.
Peculiare anche l’alimentazione dei bambini: cibi semplici e bagni nel vino per verificare la robustezza del fisico e temprarli alla vita adulta.
Da qui l’espressione “educazione spartana” sin da piccoli, poiché regole alimentari e prova fisica erano strumento di raggiungimento di quella perfezione necessaria per un popolo vincente. O altrimenti di selezione naturale.
Del resto, i bambini dopo la nascita subivano già una prima selezione ad opera degli anziani: se deformi o gracili venivano lasciati morire sul monte Taigeto.
Plutarco racconta un aneddoto significativo a proposito delle capacità delle donne di “forgiare” i propri figli.
Un giorno, infatti, una donna, presumibilmente una straniera, disse a Gorgo, regina di Sparta “Solo a Sparta le donne comandano gli uomini”, e Gorgo rispose: “Sì, ma solo le donne di Sparta generano uomini”.
In definitiva, Sparta consegna alla storia un’immagine della donna che, con pregi o difetti, era comunque paritetica all’uomo, complice dell’accrescimento culturale di un popolo.
Una donna emancipata in una cultura anche matriarcale, una donna non apprezzata dalla cultura dell’epoca, tanto che lo stesso Aristotele attribuisce proprio a lei la caduta di Sparta, essendo gli uomini dominati dalle proprie mogli sempre più economicamente forti.