Il Consiglio di Stato con sentenza n. 8089 del 16 dicembre 2020 decide sulla questione della coltivazione di OGM, confermando la legittimità – già dichiarata in primo grado – di un’ordinanza recante l’ordine “…di procedere, mediante trinciatura ed interramento, alla distruzione delle coltivazioni di OGM illecitamente impiantate … nonché al ripristino dello stato dei luoghi a proprie spese”.
La decisione tratta la questione alla luce della normativa nazionale e dell’Unione Europea vigente, stante anche la sollevata domanda di rinvio di questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
In particolare, il supremo Giudice amministrativo motiva sul contemperamento tra tutela ambientale e rischio della salute a fronte del diritto alla libertà d’impresa.
Il contesto normativo nazionale ed europeo sul mais OGM
La decisione, replicando la procedura motivazionale svolta in primo grado, richiama il contesto normativo in cui si inquadra la vicenda.
Per organismo geneticamente modificato (OGM) si intende un “organismo, diverso da un essere umano, in cui il materiale genetico (DNA) è stato modificato in un modo differente da quanto avviene in natura, con l’accoppiamento e la ricombinazione genetica naturale”.
Un OGM o un suo prodotto derivato per essere immesso sul mercato europeo deve essere preventivamente autorizzato in virtù di una complessa procedura, che tiene conto anche del rischio per l’ambiente e per la salute umana.
In Italia attualmente non è consentita la coltivazione a fini commerciali delle piante geneticamente modificate sviluppate ed autorizzate in UE (mais, soia, colza e cotone).
È consentita, però, la commercializzazione dei loro prodotti nel rispetto delle regole di etichettatura.
In merito alla normativa UE per il settore degli OGM si richiamano in particolare:
- Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, che all’art. 2 indica la citata definizione di OGM (testo consolidato 26.7.2019)
- Regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (testo consolidato 10.04.2008), il quale disciplina anche
- la procedura di autorizzazione per l’immissione in commercio di un OGM o di un alimento o un mangime GM
- i requisiti specifici in materia di etichettatura
- la soglia di tolleranza della presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di OGM
- Regolamento (CE) n. 1830/2003, concernente la tracciabilità e l’etichettatura di organismi geneticamente modificati e la tracciabilità di alimenti e mangimi ottenuti da organismi geneticamente modificati (testo consolidato 26.7.2019)
- Direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’ 11 marzo 2015 , che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio Testo rilevante ai fini del SEE
La norma viola il Trattato UE?
Proprio sulla portata della Direttiva (UE) 2015/412 la vicenda in esame si è trovata ad esprimersi, tenuto conto che l’Italia, per quanto riguarda le varietà di mais geneticamente modificate, ha comunicato l’esclusione del territorio italiano dalla loro coltivazione.
Di conseguenza, la Decisione 2016/321 della Commissione Europea del 3 marzo 2016, richiamata dalla sentenza in esame, ha disposto all’art. 1 per cui la coltivazione di OGM oggetto di causa “è vietata nei territori elencati nell’allegato della presente decisione”.
L’allegato 1, al punto 8), indica l’Italia.
Il T.A.R. in primo grado ha ritenuto che “l’impugnata ordinanza sanzionatoria è stata adottata in applicazione dell’art. 35-bis del d. lgs. 224/2003, come modificato dal d. lgs. 227/2016, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2015/412, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio”.
Conseguente ha respinto la censura per cui si affermava che potesse esservi “contrasto della direttiva comunitaria (nonché del d. lgs. 227/2016 di attuazione) e della decisione della Commissione europea che hanno consentito agli Stati membri di vietare nel loro territorio la coltivazione di mais geneticamente modificato “Mon 810”, con i principi fondanti del Trattato sull’Unione europea (TUE) e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (quarto, quinto e sesto motivo di ricorso)”.
La decisione del Consiglio di Stato sulla coltivazione OGM
Il Consiglio di Stato motiva il rigetto dell’appello a conferma della legittimità dell’ordinanza impugnata, richiamando tre punti:
“1) la base normativa dell’ordinanza impugnata in primo grado è correttamente individuata nell’adeguamento dell’ambito geografico dell’autorizzazione alla coltivazione di granturco OGM, stabilito con decisione n. 2016/321 del 3 marzo 2016 della Commissione Europea;
2) Il richiamo, quale possibile fonte di provvedimento di divieto, alle decisioni adottate dalla Commissione Europea con l’adeguamento dell’ambito geografico, è previsto dall’art. 35 bis D.L.G.S. n. 224/2003 come ipotesi distinte (lett. a) n. 1) da quella del divieto ministeriale nazionale (lett. b) dello stesso articolo);
3) la legittimità dell’azione dello Stato, che è vincolata alla decisione della Commissione Europea, trattandosi di materia in cui proprio la normativa U.E. sulla coltivazione OGM ha ritenuto di confermare la flessibilità e la concorrenza della competenza nazionale, in piena conformità con il principio di sussidiarietà, pilastro del trattato U.E.”.
Tanto è vero che proprio in ragione del quadro normativo UE sugli OGM è stato chiesto al Giudice di ultima istanza di sollevare questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’U.E. sulla compatibilità tra la normativa che impedisce la coltivazione di mais GM nel territorio italiano ed “il diritto alla libertà d’impresa di cui gli artt. 16 e 52 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché i principi di proporzionalità, non discriminazione, legalità, e precauzione, nonché gli artt. l’art. 3, paragrafo 3, del TUE e gli artt. 2 (comma 1), e 3, comma 1, lett. b), 6, 26, 34, 35, 36 e 114 del TFUE, nonché l’art. 22 della Direttiva 2001/18/CE”.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto non sussistere i presupposti per la rimessione di questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
La gerarchia degli interessi tutelati dai Trattati
Il Consiglio di Stato, motivando sul rigetto dell’appello in punto di eccepito contrasto con il diritto alla libertà d’impresa, ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia che delinea una gerarchia tra gli interessi tutelati dai Trattati:
“a partire alla sentenza della Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-513/99, è acquisito il principio per cui la tutela della concorrenza risulta recessiva rispetto alle politiche pubbliche orientate alla salubrità ambientale, nel senso che la stessa libertà imprenditoriale deve orientarsi ed estrinsecarsi in forme compatibili con tali obiettivi”.
Da tale motivazione è derivato il rigetto del gravame:
“Il rilievo che la proibizione della coltivazione del mais OGM, in quanto – almeno ad una soglia precauzionale – potenzialmente pericolosa per la salute e per l’ambiente, sia un limite all’esercizio delle relative attività economico non contrastante con i parametri evocati, appare ad avviso del Collegio non dubitabile: avuto riguardo ad una ricognizione dei princìpi della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e del Trattato sull’Unione europea consapevole della gerarchia di valori dagli stessi risultante”.
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