IL NATALE A TAVOLA: DAI SATURNALI ROMANI ALLE TRADIZIONI MODERNE

Un viaggio per riscoprire la tavola del Natale lungo la storia, dall’antica Roma fino ad oggi, passando per il medioevo e l’età vittoriana. Curiosità e tradizioni attraverso fonti storiche e letterarie.
Pubblicato su Dicembre 20, 2024, 12:58 am
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Partiamo dicendo che è impossibile stabilire un menù natalizio tradizionale che racchiuda, non tanto l’intero territorio italiano, ma anche la sola regionalità. Il nostro bagaglio alimentare è talmente vasto che ogni famiglia nel corso degli anni si è costruita la propria singola tradizione fatta di piatti che racchiudono la storia e i ricordi del nucleo familiare. Un microcosmo che ogni anno ritorna sulla tavola e che, come collante, ci riunisce agli affetti che spesso durante l’anno non abbiamo potuto vivere nel quotidiano.

Detto questo, è innegabile che alcuni piatti siano diventati una costante, un simbolo di convivialità e calore familiare.

Proviamo a ripercorrere queste tradizioni fino dalle radici in epoche lontane. Un viaggio che parte dall’antica Roma, quando il Natale non era ancora una festività cristiana, passa attraverso il medioevo e l’età vittoriana, il periodo che diede vita alla versione moderna della festa sia nelle usanze che nelle fonti letterarie. L’evoluzione delle tradizioni riflette le trasformazioni culturali, religiose e sociali che hanno segnato la nostra storia.

I SATURNALI: IL NATALE PRIMA DEL NATALE

Il concetto di Natale è ovviamente legato alla cristianità. Molte delle tradizioni che oggi sono associate a questa festa hanno in realtà una storia molto antica, e parte di queste hanno un’origine ben diversa.

Su questo la politica ha avuto un ruolo rilevante.

Quando si diffuse il cristianesimo diventando la religione dell’impero, venne chiuso al popolo l’accesso ai luoghi sacri, proibito ogni rito e posto fine alle manifestazioni sportive che fino ad allora avevano reso onore alle divinità pagane. Ufficialmente il culto era cambiato ma far cambiare le abitudini ad un popolo era più complicato, specialmente se questo popolo aveva una tradizione cosi salda e radicata come quella romana. Questo è uno dei motivi per cui molte festività pagane vennero convertite in cristiane.

Tra i riti più amati dai romani c’erano i Saturnali.

I Saturnali si celebravano, in onore della divinità agreste Saturno, dal 17 al 23 dicembre e comprendevano anche un importante avvenimento nella celebrazione del calendario pagano: il solstizio d’inverno.

 Nella Roma pre-cristiana i Saturnali rappresentavano un momento di abbondanza e gioia. La festa, che risale al V secolo a.C., era descritta dal poeta romano del I secolo a.C. Catullo come “il periodo più bello”.

Durante questi giorni le classi sociali si mescolavano, si regalavano ad amici e familiari candele, monete e cibo. Si indossavano abiti meno formali, si facevano giochi, banchetti. Le convenzioni sociali erano meno restrittive e attività come il gioco d’azzardo o l’apparire in pubblico ubriachi erano più tollerate.

Le tavole romane erano ricche di carni pregiate, dolci al miele e vino speziato, a simboleggiare la prosperità e il ritorno della luce.

Con l’avvento del Cristianesimo, molte di queste usanze furono assimilate e rielaborate. Il Natale, fissato al 25 dicembre per sovrapporsi simbolicamente ai Saturnali e alla festa del Sol Invictus, divenne l’occasione per celebrare non solo la nascita di Gesù ma anche la continuità di tradizioni legate al banchetto e alla convivialità.

MEDIOEVO: IL LUNGO BANCHETTO

Nel Medioevo il Natale ottenne sempre più prestigio e i festeggiamenti crebbero a tal punto da rendere questa la festa più lunga dell’anno, dodici giorni; dalla notte del 24 dicembre fino al 5 gennaio.

In questi dodici giorni il lavoro agricolo rallentava permettendo alla popolazione di godersi un meritato riposo.

La preparazione delle case in occasione delle festività, proprio come oggi, era fonte di gioia sia nelle famiglie più ricche che in quelle povere.

I meno abbienti creavano per l’occasione ghirlande raccogliendo le foglie invernali, un enorme doppio cerchio di vischio faceva bella mostra di sé al centro del soggiorno. Questo era un altro retaggio di un antico rito celtico dove agrifoglio, edera e vischio erano stati venerati per secoli e associati alla protezione dagli spiriti maligni e alla fertilità. L’associazione con la fertilità spiega, quindi, un’usanza come quella di baciarsi sotto il vischio, cogliendo una bacca bianca per ogni bacio donato.

Il motivo di tali festeggiamenti era ovviamente legato alla cristianità e alla celebrazione della nascita di Gesù, per questo in riferimento ai doni portati dai Re Magi si facevano regali ad amici e familiari. Nelle case nobiliari e facoltose venivano scambiati gioielli e stoffe pregiate mentre le famiglie meno fortunate potevano ottenere fascine di legno per scaldarsi, del cibo più pregiato che non mangiavano abitualmente e per i bambini giocattoli in legno intagliato come trottole o bambole.

Allora come oggi, il cibo ricopriva una importanza fondamentale nel festeggiamento tanto da assumere un carattere rituale. I banchetti delle famiglie più ricche avevano il compito di stupire gli ospiti e portare lustro alle famiglie con scenari opulenti: pavone arrosto, cigno, testa di cinghiale, arrosti di maiale, selvaggina. Anche il pesce, come salmone e ostriche, riempivano i piatti spesso accompagnati da spezie preziose come cannella, zenzero e chiodi di garofano. Questi ingredienti, provenienti dall’Oriente, non erano solo un segno di ricchezza ma anche una testimonianza del legame tra il cibo e il sacro. I dolci non erano differenti da quelli che potremmo trovare oggi: noci, arance, torte, creme di frutta, fichi e datteri. Da bere c’era vino dolce o speziato, sidro e birra.

Il pranzo di Natale, in questi banchetti, era un evento in piena regola. Tra una portata e l’altra, mentre la tavola veniva sparecchiata e riapparecchiata, ad allietare i commensali v’era un intrattenimento composto da mulcisti, giullari, acrobati e menestrelli. Il tutto si protraeva per ore e spesso la situazione degenerava, con l’auto dell’alcol, in risse e danneggiamenti tanto che molte famiglie dovettero pagare delle guardie che impedissero agli ospiti di saccheggiare o distruggere le proprietà durante questi lunghi giorni di festa, soprattutto durante l’apice dei festeggiamenti che, al contrario di quello che si possa pensare, non accadeva né a Natale né a Capodanno ma alla vigilia del 6 gennaio, ultimo giorno di celebrazione nota come la dodicesima notte.

Gli avanzi dei banchetti delle grandi dimore venivano donati ai poveri, e alcune volte qualche servitore era invitato a partecipare ai festeggiamenti del signore per cui lavorava.

Le festività nelle case più umili erano molto diverse. Il pranzo di Natale era più sobrio ma importante in egual modo. Il pane, la zuppa e qualche forma di carne o pesce erano consumati con devozione. Era il giorno in cui si interrompevano i digiuni della vigilia seguendo le prescrizioni religiose che segnavano la vita quotidiana. Anche i divertimenti erano meno sfarzosi e bizzarri: carte e dadi, canti, strumenti musicali, giochi da tavolo, racconti di favole e giochi tradizionali delle feste. Nelle piazze le chiese organizzavano gratuitamente per la popolazione spettacoli di marionette e parate. Mimi e saltimbanchi andavano poi di casa in casa per esibirsi in uno spettacolo privato in cambio di qualche moneta o del cibo.

RINASCIMENTO ELISABETTIANO: SFARZO E REGIONALITA’

Con il Rinascimento il Natale divenne un’occasione per celebrare non solo la fede ma anche l’arte del gusto. Durante il periodo elisabettiano l’importanza del rito religioso si mantenne saldo ma, allo stesso tempo, crebbero le tradizioni popolari che si allontanavano dalla sacralità imposta dalla chiesa. Il periodo dell’avvento era vissuto nel medioevo come un momento di digiuno e privazioni in attesa del Natale, cosa che nel rinascimento perse di importanza perché associato più a un periodo di piacevole attesa delle feste, il cui culmine rimaneva, come nel medioevo, il banchetto e lo scambio di doni.

Naturalmente il cibo restava il vero protagonista di queta ricorrenza. Il periodo rinascimentale elisabettiano creò un’altra tradizione che ci ha accompagnato fino ad oggi. Lo sfarzo la spettacolarità dei banchetti che andavano di moda in quel periodo richiedeva un impegno sempre maggiore per i cuochi che gestivano le cucine dei ricchi palazzi borghesi e nobiliari. Per questa ragione, l’inizio delle vacanze venne spostato alla “Vigilia” di Natale, il 24 dicembre. Il giorno di Natale divenne il re delle festività, scalzando come importanza la dodicesima notte.

I banchetti si arricchirono di ricette elaborate come i pasticci di carne e i dolci decorati. Fu in questo periodo che iniziarono a diffondersi tradizioni regionali destinate a perdurare nei secoli: dal panettone lombardo al torrone, passando per il capitone napoletano e i fichi secchi siciliani. Erano molto popolari le torte salate e di frutta speziata, cosi come lo era il vin brulè.

L’800 VITTORIANO E LA NASCITA DEL NATALE MODERNO

Il periodo in cui le festività assunsero l’aspetto più simile a quello che conosciamo oggi è quello vittoriano di fine 800. Molto dello spirito natalizio moderno è attribuito, infatti, all’Inghilterra vittoriana. I vittoriani guardavano con nostalgia ai fasti medievali e rinascimentali e continuarono a perpetuare tradizioni come la messa della mattina di natale, i regali, i giochi, gli spettacoli e i banchetti ma spogliati dell’opulenza che avevano assunto nel rinascimento, ridimensionati al focolare domestico, destinati agli affetti familiari e ad una ristretta cerchia di amici.

Vi ho parlato dell’importanza della Regina Vittoria nel consolidamento delle tradizioni natalizie che oggi ci sembrano basilari. Una di quelle a cui forse siamo più legati la dobbiamo al marito, il Re consorte.

Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, di origine tedesca, fu il primo a portare nel Regno Unito l’albero di natale, introdotto in Germania nel 1611 dalla Duchessa di Brieg per abbellire un angolo del salone, ma sconosciuto nel resto d’Europa. Dal 1841 il Principe Alberto iniziò una tradizione che si consolidò, espandendosi ben presto dalle piazze delle città ai soggiorni delle case di tutto il regno. Questa tradizione poi crebbe e si espanse in tutta Europa grazie alla letteratura. È impossibile pensare al Natale e non associarlo, nella tradizione e nell’estetica, al “Canto di Natale” di Charles Dickens del 1843.

Sempre ai vittoriani va il merito di aver diffuso la tradizione delle canzoni natalizie cantate in famiglia attorno al pianoforte o nelle strade. Il primo libro di canti natalizi risale in realtà al 1521.  Furono sempre i vittoriani a diffondere questa tradizione recuperando canti antichi e dimenticati e aggiungendo le loro canzoni nel repertorio classico.

Come detto in precedenza, l’Ottocento vide l’emergere del Natale come festa familiare per eccellenza. Grazie all’influenza vittoriana, il cenone della vigilia e il pranzo del 25 Dicembre si arricchirono di pietanze iconiche come il tacchino arrosto, i pudding inglesi e le torte speziate. L’idea del pranzo come momento di unione familiare cominciò a diffondersi anche tra le classi popolari.

IL 900: IL NATALE DELLE BOMBE E LA RINASCITA

Da qui corriamo verso il presente, facendo solo una piccola digressione in un altro momento della storia delle feste: la  II guerra mondiale e il dopoguerra italiano.

Durante gli anni del conflitto, il Natale era un momento segnato dalla scarsità. Le restrizioni alimentari, il razionamento e le difficoltà economiche costringevano le famiglie a celebrare con poco. Al posto delle abbondanti pietanze tipiche delle festività sulle tavole comparivano spesso zuppe di legumi, polenta e verdure di stagione. La carne, quando presente, era un lusso riservato solo ai più fortunati. Anche i dolci natalizi, come il panettone o il torrone, erano sostituiti da dolci più semplici fatti in casa con ingredienti di recupero.

Nonostante le difficoltà, il Natale rimaneva un momento speciale. Le famiglie si stringevano attorno a piccoli gesti simbolici: una candela accesa, un presepe rudimentale o un ramo d’abete decorato con materiali di fortuna.

Al termine della guerra il Natale in Italia rappresentò molto più di una semplice festività: fu il simbolo di una nazione che si rialzava dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. La gioia di ritrovarsi in famiglia, intorno a una tavola imbandita, era un segno di speranza e rinascita dopo anni di privazioni e difficoltà. Negli anni Cinquanta, con il boom economico ormai alle porte, le tavole italiane iniziarono a riempirsi nuovamente di piatti tradizionali. In molte case, il menù natalizio prevedeva piatti come i tortellini in brodo, il cappone arrosto, le lasagne o la pasta al forno, accompagnati da vini locali. Per dessert, il panettone e il pandoro, un tempo rari e costosi, divennero sempre più accessibili grazie alla produzione industriale.

Le famiglie riscoprirono il piacere di scambiarsi doni, spesso semplici ma carichi di significato. Il presepe, simbolo della tradizione italiana, tornò a occupare un posto d’onore nelle case, insieme agli alberi di Natale che cominciavano a diffondersi in molte regioni. E questa è la lunga strada che abbiamo attraversato per “apparecchiare questa tavola natalizia”. Il tavolo addobbato per un rito pagano di abbondanza e fertilità in età antica che, anche se è cambiato spesso e per ragioni diverse, ogni anno ritorna e in qualche modo ci lega, oltre che tra noi, anche con un passato molto lontano. Buon pranzo di Natale a tutti.

Attore, Regista, pittore, divulgatore e Content Creator cultore di storia e costume delle civiltà antiche e moderne.