Gli asparagi: dalla fama romana al buio medievale

Gli asparagi nella storia gastronomica sono stati o tanto apprezzati o ignorati. Curiosità e ispirazioni nella cucina antica, da Roma al Rinascimento.

Pubblicato su Maggio 31, 2020, 4:01 pm
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In questa stagione non mancano nelle nostre tavole, coltivati o selvatici, gli asparagi.

Pur rientrando tra gli alimenti selvatici più apprezzati, sembrerà strano ma già gli antichi, a partire dagli Egizi, li apprezzavano tanto da coltivarli.

Originari dell’antica Mesopotamia, il nome deriva dal greco aspharagos, che significa appunto germogli ad indicare la parte commestibile.

Gli asparagi nella antica letteratura botanica

Ed è proprio in Grecia, nel III sec. a C., che uno dei padri della botanica, Teofrasto di Ereso, il discepolo di Aristotele e poi suo erede e successore, dedica uno studio dell’ortaggio nell’opera Storia delle piante.

Se in Grecia, però, gli asparagi erano più diffusi per le proprietà benefiche, in Roma diventano protagonisti anche di orti e cucine.

Famosi i mosaici a Pompei che ne ritraggono mazzi legati, di una modernità soprendente.

Marco Porzio Catone, più di un secolo dopo, approfondisce le tecniche di coltivazione degli asparagi nell’opera “De agricoltura”, precursore della complessa analisi ad opera di Plinio il Vecchio nel I sec. d.C.

Il naturalista latino, chiamato anche Catone il Censore, si sofferma anche sulle qualità gastronomiche dell’ortaggio, confermandone la diffusione sulle tavole romane.

In particolare, apprezza quelli del ravennate, dalla polpa tenera e gustosa, che rallegravano le tavole nobiliari.

Il che ci fa comprendere che già all’epoca di asparagi ce ne erano diverse tipologie e specie.

La cottura e la conservazione nell’antica Roma

Prima di curiosare tra le ricette o gli abbinamenti riportati negli scritti latini, raccontiamo la cottura degli asparagi nell’antichità.

Per questo particolare, la tradizione culinaria è cambiata molto: gli asparagi veniva gustati appena scottati… diremmo “al dente”.

Lo racconta Apicio, il quale raccomanda di non cuocerli a lungo e, come per tutti gli ortaggi, con sale di ammonio per mantenere il “colore smeraldino”.

Una curiosità?

Il sale di ammonio ha mantenuto anche oggi il nome, che deriva da Zeus Ammone, l’oracolo dell’oasi di Siwa, presso il cui tempio in Egitto questo sale fu rinvenuto originariamente.

Proprio per la breve stagionalità degli asparagi, Apicio consiglia di seccarli per usarli nel tempo previo ammollamento in acqua, come ora si fa con i funghi porcini secchi (“asparagos siccabis, rursum in calidam submittes callosiores reddes“).

Anche Svetonio conferma l’uso di una brevissima cottura di questi vegetali.

Uno storico che parla di asparagi? Ebbene sì, nel descrivere la rapidità di un’azione di Augusto, con il proprio stile ricorre ad una similitudine: è servito meno tempo che per cuocere gli asparagi (“citius quam asparagi coquantur”, De vita Caesarum – Augustus).

Gli asparagi nei piatti dell’antica Roma

Se i tempi di cottura sono cambiati con il tempo, altrettanto non può dirsi in tema di abbinamenti.

In coppia con gli asparagi anche nelle tavole dell’antica Roma troviamo le uova.

Già i Romani, in particolare, amavano cospargere gli asparagi con il tuorlo d’uovo sminuzzato, in stile “mimosa”; che sia l’antenato degli Asperges à la Flamande, nella tradizione gastronomica belga?

Contro lo spreco a tavola!

La ricetta di un piatto freddo tipico a base di asparagi viene tramandata da Apicio, che svela un trucco per utilizzare gli avanzi dell’ortaggio.

La parte che si butta via dell’asparago (asparagum precisura), infatti, viene tritata in un mortaio e bagnata con il vino, fatto poi colare.

Si unisce olio, cipolla, pepe, santoreggia e coriandolo verde; il tutto si mescola con le uova per prepararare una gustosa frittata in tema “green”.

Gli asparagi dal Medioevo al Rinascimento

La fama gastronomica degli asparagi con il tempo si spegne.

Nel Medioevo, come prima in Grecia, gli asparagi tornano in esclusiva tra gli scaffali “farmaceutici”, utilizzati per le proprietà diuretiche e depurative.

Il Rinascimento li riscopre, ma diventano un cibo da ricchi, dal momento che si era persa la tecnica di coltivazione, di per sé in effetti complessa.

Ricordiamo, infatti, che l’asparago richiede una coltivazione – molto laboriosa – poliennale, che necessita di diversi anni prima “produrre frutto”.

Nei ricchi banchetti rinascimentali, insieme ad arrosti e cacciagione, selvatici o coltivati che siano gli asparagi non mancano.

Luigi XVI di Francia, il Re Sole, ne è ghiotto tanto da invitare a corte una schiera di botanici per studiare un sistema di produzione costante nell’anno.

Da allora la fama degli asparagi non si è più spenta, conquistando terre e tavole.

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Redazione