Essere vegetariano o non essere? Qual è l’alimentazione più opportuna per la salute del corpo e per il rispetto della natura?
Simili domande si rincorrono e si ripropongono nella mente di tanti, ma quale è la scelta più opportuna?
Una risposta univoca e convincente non può darla nessuno, perché tutto è subordinato alla personalità del singolo, che decide sulla base delle proprie credenze, stati d’animo o di salute e, soprattutto, esigenze psicofisiche.
Non intendendo, allora, soffermarmi su questo o quel suggerimento da consigliare anche perché si tratta di una scelta personale, voglio dare uno sguardo alla storia del vegetarianesimo, al fine di meglio capirne l’ispirazione e fornire qualche utile elemento di valutazione.
In tutte le valutazioni è sempre opportuno rifarsi alla Storia, per cui ad una ricostruzione meramente storica rinviamo.
Qualsiasi aspetto deve essere esaminato sin dalle origini o, comunque, dalle prime cause che lo hanno generato, per poi seguirlo in tutta la sua evoluzione, senza lasciare nulla alla improvvisazione o, peggio, al chiacchiericcio, che tanto male fa nella psiche, specie dei più fragili.
L’albero si regge ed è alimentato dalle radici e ad esse bisogna prioritariamente riferirsi sempre.
Pitagora e gli animali
La tradizione e gli scritti dicono che Pitagora (VI Sec. a. c.) sia stato tra i primi in Occidente a scagliarsi contro l’abitudine di cibarsi di animali (Ovidio, Metamorfosi), e a criticare aspramente le stragi di animali.
Stragi che lui riteneva, peraltro, inutili dal momento che in natura è possibile procacciarsi cibo senza spargimento di sangue.
Pitagora fondava il vegetarianesimo sulla propria credenza alla metempsicosi (reincarnazione).
La sua scuola, istituita a Crotone intorno al 530 a. c., proponeva una nuova visione mistica ed ascetica della vita, ed ebbe grandissimo successo e capillare diffusione.
Fondava, dunque, il pensiero su quella che era la cultura germogliata nella filosofia greca sin dall’inizio del VII sec. a. c. ad iniziativa di Orfeo.
“L’anima é immortale”
Fu l’Orfismo a proclamare un evento nuovissimo quanto straordinario, che segnerà per sempre la cultura di tutti i tempi, come l’immortalità dell’anima e la concezione dell’uomo secondo lo schema dualistico che contrappone l’anima al corpo.
Con ciò sovvertendo i concetti della religione pubblica imperante, che vedeva tante divinità sublimate in sembianze, vizi e virtù antropomorfe.
L’anima e la ricerca delle sue origini stimolano tutti i filosofi del tempo.
Socrate arrivava a definire l’anima l’essenza dell’uomo e il suo discepolo Platone, mediante quella che lui definisce la seconda navigazione, giungeva alla più ampia metafisica e quindi all’individuazione di una Entità superiore eterna, intellegibile, da lui chiamata Demiurgo.
Proprio il concetto di anima è alla base della scelta alimentare ma soprattutto filosofica di Pitagora, per il quale sussisteva una connessione tra pensiero ed alimento (nota l’avversità alle fave in quanto ostacolo per la meditazione ed il pensiero filosofico).
Il vegetarianesimo pitagorico come risposta
Cosa contesta Pitagora, in particolare?
Penso che l’uomo di Neanderthal non si sia posto il problema sull’essere o meno vegetariano.
Apparso sulla terra in epoca immemorabile, resti antropologici lo datano a duecentomila anni fa ed oltre, aveva l’unico problema di nutrirsi per sopravvivere, al pari di tutti gli altri esseri viventi. Per farlo attingeva a tutto ciò che la natura offriva, animali inclusi, almeno quelli che poteva cacciare.
Lo stesso facevano e fanno del resto gli animali, secondo la ferrea legge del più forte e, soprattutto, quella di una naturale catena alimentare, che vede gli animali più piccoli con capacità più prolifiche e con una aspettativa di vita più breve rispetto a quelli più grossi.
L’avvento dell’Homo Sapiens, circa diecimila anni fa, sovverte le regole imperanti.
Il forte e robusto uomo di Neanderthal, che sembra aver vissuto tale e quale per decine di migliaia di anni, come gli animali del suo tempo, fu annientato e sostituito dall’intelligenza dell’Homo sapiens, più che dalla forza.
L’”anima” che abitava nel nuovo inquilino protendeva a ricercare le proprie radici e quindi la fonte da cui proviene, impegnandosi nella ricerca dell’Intelligenza superiore, individuata anche in elementi o fenomeni della natura.
Nei secoli a seguire, a questa Intelligenza gli uomini iniziarono a dedicare riti religiosi che prevedevano sempre di più l’immolazione e il sacrificio di animali.
Pitagora: l’anima e l’amore
In questo contesto, si inquadra il pensiero di Pitagora e dei filosofi che in qualche modo successivamente hanno condiviso ed anche ampliato le sue teorie.
Per il filosofo greco, più nominato oggi come matematico per l’intramontabile teorema, l’anima degli animali era la medesima di quella degli umani, a conferma della teoria della reincarnazione.
Un animale poteva contenere l’anima di una persona defunta, per cui era intoccabile.
E così, con Pitagora arriva in Occidente, per quel che la storia ci tramanda, il vegetarianismo come scelta alimentare e stile di vita, ispirato ad uno dei suoi più famosi motti:
“Fintanto che l’uomo continuerà a distruggere gli esseri viventi inferiori, non conoscerà mai né la salute né la pace. Fintanto che massacreranno gli animali, gli uomini si uccideranno tra di loro. Perché chi semina delitto e dolore non può mietere gioia e amore”.
Pitagora: vegetariano o vegano?
Più volte filosofia e vegetarianesimo si incontreranno anche sulla scia del pensiero pitagorico (accenniamo soltanto a Porfirio nel terzo secolo d.C.), a sugellare lo stretto legame tra scelta alimentare e stile di vita.
Oggi, lo riportano fonti Eurispes, in Italia il 6,7% della popolazione afferma di essere vegetariano ed il 2,2% dichiara invece di essere vegano, con un trend per questi ultimi in ascesa.
Pitagora probabilmente non era vegano, o almeno questo traspare tra le righe di Ovidio; i “banchetti senza stragi” sono ricchi di cereali, frutta di cui sono carichi gli alberi, verdure dolci e tenere ma latte e miele profumato di timo.
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