Secondo alcuni pareri di operatori sanitari presenti sul web, che riflettono una opinione abbastanza diffusa, i cosiddetti fermenti andrebbero assunti
- non in via preventiva da persone senza problemi intestinali (per non alterare l’equilibrio del microbiota)
- per alcune settimane (al fine di ottenere benefici persistenti) e comunque senza indicazioni generali essendo diverse le tipologie di prodotti (su indicazioni di uno specialista)
- solo in caso di problemi digestivi (stipsi, colite, gonfiore, ecc., ciascuno richiedente ceppi specifici)
- taluni ceppi anche in certe dermopatie (es. allergiche) o in caso di stress.
Spesso si utilizza ancora, in modo poco accurato, il termine fermenti lattici accanto a quello di probiotici, confondendo prodotti e finalità diverse, come quelle alimentari, salutistiche e terapeutiche.
Si tratta infatti di una materia in rapida evoluzione, nella quale le conclusioni sono necessariamente provvisorie e soggette a continue revisioni sperimentali.
Spesso molti dati sono stati ottenuti partendo da modelli sperimentali (es. topi germ free) che non riproducono fedelmente il contesto umano; inoltre, certamente una correlazione tra un certo status del microbiota ed un determinato quadro patologico da sola non basta a stabilire una relazione causale (tuttavia resta un dato oggetto di riflessione).
Gli stessi termini eubiosi (ad indicare uno stato di equilibrio e di elevata biodiversita’ del microbiota) contrapposto a quello di disbiosi (ad indicare uno squilibrio del microbiota potenzialmente all’origine di disturbi funzionali e/o organici) mancano a tutt’oggi di chiari attributi concreti cui potersi riferire.
Microbiota e microbioma, partiamo da qui
Dai primi anni del 2000 le ricerche sul tema delle popolazioni batteriche presenti nell’organismo umano hanno avuto una crescita esponenziale e non cessano di illustrare continuamente aspetti nuovi, anche e soprattutto grazie a nuove metodiche sofisticate di indagine come la NGS (Next Generation Sequencing) o sequenziamento massivo parallelo.
Nell’ormai lontano 2007 l’Istituto Nazionale della Salute Americano lanciava l’HMP (Human Microbiome Project) o Progetto Microbioma Umano (derivato dal progetto genoma umano) per il sequenziamento del genoma microbico prelevato da 250 adulti considerati sani (con tutte le riserve legate alla influenza dei fattori ambientali e dietetici sul loro microbiota). Il primo dato che emerse fu che le differenze tra i microbiomi individuali superavano di gran lunga le differenze genetiche.
L’HMP è stato articolato in due fasi
- HMP1: microbioma del sano (volto a individuare il “core” o nucleo costante del microbioma umano)
- iHMP: microbioma del malato (e sulla predisposizione a malattie), soprattutto in relazione a
- + gestante e nascituro
- + patologie infiammatorie croniche intestinali
- + diabete 2.
In effetti il contributo del microbioma (nominato per la prima volta nel 2006) a varie patologie come
- gastrointestinali
- cardiovascolari, dismetaboliche
- immunitarie
- urogenitali, respiratorie, dermatologiche
- neurologiche
sembra essere, alla luce delle evidenze crescenti, non trascurabile.
Microbiota sano?
In ogni caso a tutt’oggi non esiste una definizione comunemente accettata di microbiota sano e l’argomento è ancora oggetto di dibattito.
Il microbioma indica
- genericamente il “bioma” cioè l’insieme di tutte le forme di vita microscopiche che vivono in forma comunitaria e sinergica nell’ecosistema rappresentato dal nostro organismo,
- secondo alcuni il bioma e l’insieme di sostanze prodotte da tale bioma;
- piu’ specificamente l’enorme corredo genico posseduto da tali forme di vita (e non completamente espresso).
In buona sostanza il microbiota si riferisce alle specie di microorganismi presenti, il microbioma al complesso della loro attività; il che vuol dire che persone diverse pur avendo un microbiota molto differente in realtà hanno attività enzimatiche e metaboliche simili, in altre parole alcune trasformazioni utili all’ospite possono essere eseguite da batteri diversi.
Il microbioma va considerato, a tutti gli effetti, un organo vitale per l’organismo umano del peso di circa 1,5 chilogrammi (possedendo un numero di unità di gran lunga superiore all’intero numero di cellule viventi nel corpo umano); tutte le specie viventi ospitano comunità microbiche che ne consentono la sopravvivenza (es. mediante attività enzimatiche e/o metaboliche) e la coevoluzione.
Il microbioma varia in relazione a fattori come
- eta’, sesso, fattori genetici
- distretto colonizzato
- ritmi circadiani e stagionalita’
- regime alimentare
LA MODULAZIONE DEL MICROBIOMA
Il microbioma
- si sviluppa entro i primi tre anni di vita di una persona
- è > 10 volte il patrimonio genetico dell’ospite
- comprende un numero di unità cellulari almeno pari a quelle eucariotiche dell’ospite
- riveste non solo la pelle e le mucose ma anche certi organi interni
- condiziona la risposta del sistema immunitario e lo sviluppo della corretta tolleranza immunitaria; antigeni e metaboliti batterici (es. ac. propionico) sono in grado di modulare il rapporto Treg/Thelper.
Un “disadattamento al se’ esteso” (considerando gli antigeni del microbioma parte essenziale del “self” immunitario) con innesco di processi di reattivita’ crociata e’ considerato all’origine potenzialmente di molte situazioni morbose a carattere infiammatorio.
Numerose patologie umane sono in effetti correlate ad una disbiosi intestinale (anche se il senso di questa relazione è ancora frutto di indagine) come
- dismetabolismi (diabete2, obesità, steatosi epatica non alcolica, ecc.)
- patologie autoimmuni come artrite reumatoide o psoriasica, sclerosi multipla, lupus eritematoso, ecc.
- parodontopatie.
Purtroppo, tale correlazione raramente è indagata approfonditamente, consentendo eventuali sviluppi in campo diagnostico e/o terapeutico.
La modulazione del microbiota intestinale, ad esempio, sembra poter esercitare azioni dirette o indirette (sul microambiente) sulla nascita e lo sviluppo di processi tumorali sia di tipo solido che emopoietico; inoltre lo studio accurato del microbiota potrebbe fornire risposte preziose sulla potenziale risposta a certe terapie (es. inibitori del check-point immunitario inibitorio).
I PROBIOTICI
Esistono vari prodotti denominati probiotici soggetti a varie normative nazionali e comunitarie, il che puo’ favorire la confusione nel consumatore (ed anche nel dispensatore)
- alimenti
- farmaci
- dispositivi medici
- integratori alimentari o dietetici (i piu’ numerosi)
- alimenti a fini medici speciali (da usare sotto controllo medico per la gestione di determinati pazienti) con diversa disciplina regolatoria, destinazione d’uso e diverse, talvolta, vie di somministrazione.
I “fermenti lattici” sono invece genericamente batteri (Lactobacillus, Lactococcus, Pediococcus, Enterococcus, Streptococcus, ecc.) in grado di trasformare il lattosio del latte e che sono tipici dei cibi fermentati (caeari e non caseari); alcuni fermenti lattici esercitano anche un effetto probiotico
- favorendo la sintesi di acido lattico
- esercitando effetti benefici sulla salute dell’ospite, ad es. attraverso le sostanze prodotte (effetto bioattivo).
Si tratta di un mercato molto eterogeneo, tendenzialmente in crescita e la farmacia è considerato il canale principale per la dispensazione.
Un quadro normativo?
Il termine probiotico nacque nel 1965 evidenziando come certi ceppi batterici producessero in coltura fattori di crescita utili per altri microorganismi e solo nel 2002 OMS e FAO lo ripresero ma in un ambito diverso.
Una indagine condotta dalla SIFAC (Societa’ Italiana di Farmacologia Clinica) condotta direttamente su > 250 farmacisti ha evidenziato che
- oltre i 4/5 dei farmacisti consigliano i probiotici (mercato in crescita)
- oltre 3/4 dei farmacisti affermano di non avere avuto una formazione universitaria adeguata sul tema per cui e’ frutto di un interesse personale sul tema (circa 2/3 degli intervistati si basa soprattutto sulla scheda tecnica dei prodotti)
- Un sondaggio europeo del 2022 su quasi 12 mila partecipanti indicava che
- oltre il 10 % degli intervistati dichiarava di consumare stagionalmente probiotici
- oltre 2/3 dei consumatori di probiotici dichiaravano di assumerli soprattutto per migliorare la salute gastrointestinale.
In realtà manca un quadro di riferimento generale basato su evidenze scientifiche, quello che la SIFAC ha inteso presentare alla luce delle più aggiornate linee guida EFSA.
Manca anche un assetto normativo condiviso tra le diverse istituzioni regolatorie mondiali, per cui uno stesso prodotto può essere classificato diversamente da FDA o EMA.
La definizione dei probiotici per gli Enti preposti
Veniamo alla definizione FAO-OMS condivisa a livello internazionale (e alla base di varie normative nazionali e comunitarie) sui probiotici in quanto prodotti contenenti
- microorganismi vivi e vitali; il fatto che siano vivi ne assicura la capacità riproduttiva ma la vitalità ne assicura anche l’efficienza metabolica (anche a seguito della conservazione corretta e del passaggio gastrointestinale); il tipo di formulazione scelta (es. gastroprotetta) e’ fondamentale ai fini della vitalità;
- con adeguato e definito numero di ceppi, in quantità adeguate; secondo le linee guida ministeriali il quantitativo minimo standard (per raggiungere una concentrazione adeguata nel sito target) e’ di 1 miliardo (cellule vive) /ceppo/die per ottenere una colonizzazione, sia pure temporanea, dell’intestino; tale quota deve essere assicurata fino alla scadenza del prodotto;
- con corrispondente ragionevole aspettativa di benefici per l’ospite; non ne viene escluso un impiego alimentare.
Per l’ISAPP (Ass. Scient. Internaz. per i Probiotici e i Prebiotici, una associazione istituita e sostenuta dai produttori) vanno distinti più precisamente
- prodotti vivi ma non probiotici (es. fermenti lattici degli alimenti);
- probiotico alimentare o integratore probiotico senza esplicite e specifiche indicazioni salutistiche; si richiedono solo requisiti minimi di vitalità;
- probiotico alimentare o integratore probiotico con indicazioni salutistiche esplicite (e specifiche); si richiede, oltre alla vitalità entro i limiti di conservazione, l’identificazione del ceppo (o della miscela di ceppi), il supporto di evidenze cliniche pubblicate (anche osservazionali);
- farmaco probiotico: ha specifiche indicazioni per prevenire o trattare una certa malattia; oltre alle specifiche precedenti vanno indicati anche benefici e rischi-effetti collaterali eventualmente collegati alla assunzione; le evidenze cliniche a supporto devono derivare da trial clinici controllati.
Secondo l’EFSA (ma non secondo il nostro Ministero della Salute che richiede la sola documentazione della capacità di colonizzazione) incrementare le popolazioni batteriche positive senza contemporaneamente diminuire le popolazioni potenziali patogene e opportuniste non può essere considerato benefico per la salute.
Bisogna considerare, per obiettività, che le popolazioni gram negative e proinfiammatorie hanno una elevata capacità di colonizzazione e non è semplice sostituirle con nuove specie utili; le evidenze cliniche hanno mostrato in effetti come i soggetti considerati sani possano talvolta anche essere resistenti ai trattamenti con probiotici (con tutti i limiti di rappresentatività connessi al campionamento fecale), probabilmente a causa del microbiota preesistente; in ogni caso si ammette una certa plasticità del microbiota ai cambiamenti.
Le comunità microbiche riferibili a un determinato distretto si possono comporre di diversi consorzi o cluster batterici denominati CST (Community State Type) ciascuno dominato da determinate specie batteriche ben precise. Talora un CST viene suddiviso ulteriormente in sottotipi.
Una più o meno rilevante riduzione della biodiversità e la perdita di certe specifiche popolazioni è spesso correlata ad un aumento di probabilità di evoluzione verso squilibri patologici.
Le linee guida in Italia: probiotici e prebiotici
In Italia le prime linee guida sull’argomento risalgono al 2005 e successivamente sono state aggiornate (es. nel 2013 e nel 2018), fanno riferimento solo ad alimenti ed integratori, mentre quelle internazionali FAO-OMS 2001 no.
Etichetta a norma nazionale e comunitaria dovrebbe indicare
- genere, specie e ceppo specifico tassonomicamente definiti (almeno fino al livello di specie, ai fini della ricerca di informazioni sulla sicurezza)
- numero di cellule vitali di ciascun ceppo al termine del tempo di conservazione stabilito dal produttore (shelf-life)
- indicazione d’uso
- dosi consigliate per la specifica indicazione
- modalità di conservazione
- contatti col produttore
in realtà spesso non rispettata, secondo una indagine ISS del 2010; ciò è anche dovuto alle carenze nella loro standardizzazione legata ai controlli di qualità da applicare in produzione al fine di assicurare
- funzionalità
- stabilità
- sicurezza.
Invece un prebiotico è
- costituente alimentare non vitale (spesso oligosaccaridi o polisaccaridi come FOS o frutto-oligosaccaridi e GOS galatto-oligosaccaridi)
- substrato in grado di modulare le popolazioni probiotiche
- in grado di offrire benefici alla salute dell’ospite;
questa è sostanzialmente anche la definizione ISAPP del 2016.
Se tutti i prebiotici sono da considerare fibre alimentari non tutte le fibre alimentari hanno un ruolo prebiotico.
Se la biodiversità del microbiota è da considerare un indicatore di salute per il microbiota stesso ne consegue che la biodiversità dei probiotici (sostanzialmente molecole polisaccaridiche) provenienti dal regime alimentare è fondamentale.
Il recupero di specie vegetali alimentari del passato dovrebbe essere parte di una strategia complessiva di ottimizzazione del regime alimentare.
SIMBIOTICI e POSTBIOTICI
I simbiotici sfruttano la sinergia di prebiotici e probiotici: secondo la definizione ISAPP del 2019 esso indica infatti una miscela di
- microorganismi vivi
- substrati utilizzabili dal microbiota dell’ospite
- in grado di conferire benefici alla salute.
Un simbiotico non necessariamente è sinergico (cioè il prebiotico apportato non necessariamente è utilizzato dal probiotico presente nelle formulazione) per cui viene definito semplicemente simbiotico complementare.
Il rischio di associare troppi microorganismi tra loro (eventualmente associati anche a estratti vegetali e/o vitamine) è di creare incompatibilità non facilmente prevedibili (es. antagonismi per gli stessi substrati), problemi di stabilità e l’attenuazione della carica batterica utile.
I fermenti tindalizzati sono fermenti lattici (probiotici produttori di acido lattico) sottoposti a particolari trattamenti fisici (“heat killed“) che ne impediscono la vitalità microbica; non sono da considerare propriamente probiotici ma para-probiotici o postbiotici, ammesso che abbiano dimostrato effetti positivi e benefici sulla salute dell’ospite.
In certi disturbi gastrointestinali e metabolici, a seguito della somministrazione di probiotici, sono stati registrati benefici clinici (sulla base della misurazione di specifici parametri) e cambiamenti nel microbiota che, tuttavia, non sempre sono associati a un beneficio negli esiti clinici.
Nel campo della prevenzione, invece, le evidenze cliniche risultano ancora piuttosto scarse e i cambiamenti nel microbiota in soggetti considerati sani non sono facilmente raggiungibili (revisione sistematica del 2016).
Utilità dei probiotici in soggetti considerati sani. Considerazioni
L’utilità dei probiotici in soggetti considerati sani è, in ogni caso, ancora oggetto di dibattito e di ricerche, considerato
- l’eterogeneità dei prodotti impiegati, della dose e della durata del trattamento (necessaria maggiore standardizzazione)
- l’eterogeneità delle diete adottate dai soggetti
- i limiti della campionatura fecale
- la variabilità del microbiota iniziale individuale, della sua resistenza ai cambiamenti e della eventuale conseguente risposta individuale
- i limiti legati alla persistenza degli effetti ed al periodo di osservazione
- limiti legati ai parametri sistemici osservati (es. parametri legati al sistema immunitario, incidenza di episodi patologici, ecc.).
IMMUNITA’ E INFIAMMAZIONE
Per quanto riguarda l’immunità e l’infiammazione, in generale:
- le citochine sono molecole segnale attivanti, disattivanti o regolatrici (es. sulla differenziazione)
- le chemiochine sono molecole di indirizzo per orientare la chemiotassi (importante non solo per la difesa immunitaria ma anche nella riparazione tessutale e nello sviluppo embrionale) tuttavia una distinzione netta tra le due classi di mediatori non è possibile e vi sono casi ibridi o non classificabili (es. IL-8);
tra l’altro entrambi i tipi di mediatori sono presenti e diffusi non solo a livello immunitario ma anche
- encefalico nel modulare la trasmissione nervosa assieme a neurotrasmettitori e peptidi intervenendo in funzioni basilari come termoregolazione, ricerca del cibo, ritmo sonno/veglia, processi cognitivi (IL-6, IL-1), ecc.;
- adiposo (la massa grassa e’ forte produttrice di citochine e chemiochine).
Vi sono tre circuiti fondamentali
- Th1 (endocellulare) coinvolto in autoimmunità e nella risposta a virus e tumori che, schematicamente, prevede il coinvolgimento di cellule NK, ILC1, Th1 previa attivazione dell’antigene presentato dalle APC
APC + Antigene (ANT) -> APC-ANT -> IL-12 -> -> IFN-gamma,
TNF-alfa, IL-1, ecc.
- Th2 (esocellulare) presente soprattutto a livello epiteliale e del sistema riproduttivo
Epiteli -> IL-33, IL-25 -> -> produzione muco, stimolazione ILC2 linfoidi e macrofagi M2 -> -> IL-4, IL-5, IL-13
- Th3 (esocellulare) verso certi antigeni fungini o batterici si tratta di un circuito
- altamente pro-infiammatorio
- sinergico col circuito Th1 e coi Treg
- evidenziato in varie malattie autoimmuni croniche
APC + ANT* -> -> IL-1beta, IL-23 -> stimolazione ILC3 linfoidi e Th17 -> IL-17, IL-22 -> peptidi antimicrobici
CONTROLLI E MECCANISMI REGOLATORI
I meccanismi regolatori servono a riequilibrare la risposta da pericolose polarizzazioni per evitare due stati opposti
- patologie allergiche o autoimmuni
- patologie infettive o tumorali.
Vi sono quattro tipi di controllo
- molecolare: esempi
+ IgA secretorie non infiammatorie (al contrario delle IgM)
+ esistenza di diverse forme di una citochina: es. IL-1 (alfa e beta attive, Ra antagonista recettoriale);
+ esistenza di “recettori trappola”(o di secondo tipo) che catturano il ligando senza trasmettere alcun segnale
+ sinapsi DCI-linfocita T legato a 3 interazioni necessarie MHC(DCI)
/ TCR (linf. T) Prot. B7 (DCI) / CD28 (linf.T) e non CTLA-4 (linf. T) citochine adeguate
- cellulare: Treg
+ costitutivi -> IL-10, TGF-beta
+ Tr1 inducibili dal processo infiammatorio (IL-10, IL-27)
- concertazione tra circuiti immunitari (plasticita’ immunitaria)
+ switch Treg-Th17: IL-1, IL-6, IL-23 favoriscono la risposta dei Th17 mentre TGFbeta favorisce il processo inverso
+ sono noti anche altri switch (es. Th1 <-> Th2)
- neuroendocrino: es. il cortisolo favorisce la polarizzazione Th2
L’INTERLEUCHINA 17: RUOLO E MODULAZIONE
L’IL-17 è una potente citochina pleiotropica dotata di numerosi e complessi bersagli biologici, sia attraverso vie di segnalazione canoniche (coinvolte in allergie, autoimmunità, riprogrammazione metabolica dei tessuti linfoidi) sia attraverso vie di segnalazione non canoniche (coinvolte nella riparazione tessutale ed in numerose vie di segnalazione derivate dalla interazione sinergica di IL-17 con altre citochine o ligandi vari tipo antigeni microbici).
Prodotta da varie cellule e specifiche cellule linfocitarie (solitamente su stimolo della IL-23) mostra una elevata omologia con una proteina virale di herpes-virus ed una sinergia con IL-1 e TNF.
Essa consta in realtà di 6 sottotipi noti e contrassegnati da una lettera
- IL-17A (clonata dal 1993): modulazione della interazione tra cellule epiteliali e batteri e della sorveglianza immunitaria, sembra coinvolta anche in varie malattie infiammatorie e in certi tumori; si tratta di una glicoproteina di circa 150 aminoacidi omodimerica;
- IL-17B
- IL-17C
- IL-17D
- IL-17E (denominata anche IL-25) tutte piuttosto simili sul piano strutturale, con 4 caratteristici residui di Cys costanti e determinanti per la struttura tridimensionale della molecola (mediante la formazione di ponti -S-S-); il loro ruolo appare essenziale se si considera l’elevata conservazione delle sequenze per questa classe di citochine tra i mammiferi: tra di esse le B-C-D-E sono di scoperta piu’ recente non sembrano d’importanza minore rispetto alla IL-17A;
in generale nella famiglia delle IL-17X:
- si osservano dal 16 al 50 % di analogie nella sequenza aminoacidica (il minimo di analogia si osserva nella IL-17E col 16 %)
- le maggiori differenze di gruppo si osservano in catena N-terminale, probabilmente coinvolta in interazioni con vari recettori specifici.
Il suo legame col recettore IL-17RX (X=A, B, C, …) favorisce la liberazione di varie chemiochine infiammatorie; sono recettori abbastanza diffusi e con capacita’ di legame specifica.
L’interazione con specifici recettori dimerici la cui struttura, distribuzione e funzione e’ ancora oggetto di ricerca; in generale è noto come tali recettori possiedano due domini extracellulari fibronectina II -similari, dotati di una regione conservata SEFIR deputata alla interazione con l’adattatore multifunzionale Act1 in grado sia di agire come proteina legante RNA sia come attivatore di numerose cascate di segnalazione (via canonica); tra le varie cascate di segnalazione attivate dalla via canonica viene ricompresa quella mediante il NFkB (fattore di trascrizione nucleare) coinvolto in reazioni di tipo autoimmune.
Le vie di segnalazione non canoniche, più complesse e sinergiche con altri mediatori, fattori di crescita e derivati batterici (es. LPS), intervengono in modo non ancora ben chiarito in delicati processi come la
riparazione-rigenerazione tessutale, l’oncogenesi e altri processi caratterizzati da proliferazione anomala (es. psoriasi).
Non presentano somiglianze strutturali con altre citochine o proteine umane note.
Su certe caratteristiche del ruolo di tali citochine sembrano potersi basare anche nuove e promettenti strategie terapeutiche.
I geni per le IL-17X sono variamente espressi in diversi tessuti e, solitamente, sovraespressi in situazioni infiammatorie.
A sua volta la sintesi di IL-17 e’ soggetta a complessi controlli solo in parte compresi e coinvolgenti, sembra
- recettori come ROR-gamma a livello del timo, importante nella differenziazione dei linfociti Th17
- mediatori come IL-6, TGF-beta e, molto probabilmente, IL-23 (rilevante per la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule Th17)
- fattori come STAT3, NFkB, SOCS3
In modelli sperimentali animali dall’interazione tra microbiota e epitelio intestinale vengono indotte le cellule immunitarie a produrre IL-22 e IL-17; i linfociti Th17 intervengono poi
- nel migliorare il trofismo della mucosa intestinale (fondamentale a contrastare processi di «leaky gut syndrome»)
- nell’indurre la secrezione di IgA da parte di cellule specifiche e questo potrebbe contribuire a spiegare la maggiore predisposizione alle infezioni di animali privati di microbiota e di IL-17A.
La regolazione (ancora non del tutto compresa) delle cellule Th17 (sottoinsieme dei linfociti T CD4+) avviene nell’intestino ma poi può seguire una migrazione delle cellule attivate in distretti extraintestinali.
IL-17A agisce su varie cellule target
- fibroblasti
- condrociti
- endotelio
- adipociti
inducendo la secrezione di vari fattori proteici, citochine e chemiochine infiammatorie coinvolte sia nella fase acuta che nel rimodellamento tessutale.
L’INTERLEUKINA 17 E LE PATOLOGIE DI NATURA ALLERGICA E AUTOIMMUNE
La segnalazione con IL-17 è stata riscontrata in molte patologie soprattutto di natura allergica e autoimmune (psoriasi, artriti, lupus, sclerosi multipla ed anche asma) favorendo la liberazione di altri mediatori come
- citochine: IL-6, IL-1beta, TNF-alfa, TGF-beta, G-CSF e GM-CSF
- chemiochine: IL-8, MCP-1, GRO-alfa
- prostaglandine: PGE2
- peptide antimicrobico (nei cheratinociti, in sinergia con IL-22) risultato della stimolazione di vari tipi cellulari;
vengono, per altro, indotti essenziali processi di riparazione e/o rimodellamento.
In tutte le patologie umane correlate alla disbiosi si ritiene che IL-17A (talvolta con IL-12) abbia un ruolo patogenetico non trascurabile, in particolare su
- artriti autoimmuni (esordio e osteolisi); talune specie batteriche disbiotiche gram negative (es. Prevotella copri, P. heparinolytica) sembrano maggiormente in grado di stimolare la popolazione di linfociti Th17 e favorire forme artritiche;
- una reattività crociata tra certi antigeni batterici e mielinici sembra implicata nella attivazione delle cellule Th17 in certe patologie demielinizzanti autoimmuni; taluni postbiotici ematici (acido propionico) sembrano inversamente correlati alle popolazioni di Treg intestinali ed alla gravita’ della sintomatologia neurologica; anticorpi monoclonali anti-IL-17 (e IL-23) sembrano promettenti strumenti terapeutici nella artrite reumatoide;
- più recentemente si stanno indagando interessanti correlazioni tra microbioma, IL-17A e certe forme neoplastiche (colon, pancreas, seno, ovaio e mieloma multiplo) anche se i dati sono ancora incompleti e controversi riguardo al ruolo della citochina che potrebbe facilitare taluni processi e contrastarne altri (rispetto alla fase della malattia) interferendo direttamente e indirettamente in vari processi come
- + la produzione di altre citochine (es. IL-6) e chemiotassi
- + l’attivazione di fattori di trascrizione (es. STAT3)
- + apoptosi
- + angiogenesi
in ogni caso la modulazione del microbiota intestinale che contrasta l’espansione delle cellule Th17 sembra in grado, in modelli sperimentali, di moderare la progressione sia di tumori solidi che di tumori ematopoietici; in quest’ultimo caso evidenziati anche specifici recettori per IL-17A in plasmacellule neoplastiche; l’uso di antibiotici o anticorpi monoclonali anti IL-17A hanno contrastato la progressione della malattia; meno chiaro il ruolo di altri sottotipi diversi di IL-17.
Lo studio della importanza del microbiota intestinale nella risposta alle terapie antineoplastiche e’ attualmente oggetto di attiva ricerca, in particolare la possibilità di risposta agli anticorpi bloccanti dei checkpoint immunitari inibitori.
MICROBIOTA E IMMUNITA’
La regolazione della tolleranza immunologica e’ quindi un fenomeno complesso al quale certamente il microbiota fornisce un contributo importante.
L’eccessiva sanificazione degli ambienti, ad esempio, si ritiene che sia all’origine della diffusione dei casi di allergia.
Si deve considerare come, in caso di forti similarità tra antigeni esogeni (es. peptidoglicani batterici) e proteine interne (mimetismo molecolare) si possano in teoria innescare reazioni autoimmuni crociate RAC; sono state rilevate elevate omologie nelle sequenze tra gli epitopi di certe proteine microbiche presenti in
- Firmicutes
- Proteobacteria
- Parabacteroides
- Prevotella
- Butyricimonas.
Ad esempio, l’equilibrio tra le popolazioni batteriche è importante non solo nell’insorgenza di malattie autoimmuni, ma anche sull’andamento delle malattie stesse, contribuendo a regolare la risposta infiammatoria dell’ospite.
Nel caso dell’artrite reumatoide il quadro disbiotico presenta
- un’abnorme presenza di Prevotella copri che sembra in grado di scatenare una risposta infiammatoria, cellulare ed anticorpale (IgA); cresce anche Collinsella (es. C. aerofaciens) che inibisce l’espressione delle giunzioni strette a livello epiteliale;
- un calo di Haemophilus intestinale (inversamente correlato agli autoanticorpi ed alla gravità della malattia), di Faecalibacterium (es. F. praunsnitzii) e Bacteroides (buoni produttori di SCFA e necessari alla integrità di barriera).
Nel caso del lupus eritematoso sistemico si osserva una disbiosi
- con aumento di Bacteroidetes e Ruminococcus gnavus (quest’ultimo in grado probabilmente di innescare RAC)
- con calo di Firmicutes e dei produttori di SCFA.
mentre non è chiaro l’eventuale ruolo eziologico di certi metaboliti batterici (es. poliammine) nello scatenamento del quadro morboso.
Nei soggetti allergici la disbiosi intestinale porta a un calo nelle specie batteriche produttrici di SCFA (che concorrono ad ostacolare il passaggio dal lume intestinale di peptidi alimentari e la sensibilizzazione allergica) particolarmente grave se si verifica nei primissimi anni di vita.
MICROBIOMA E INTERLEUCHINA 17
La relazione tra il microbioma intestinale, l’assetto immunitario e la secrezione di citochine è oggetto attualmente di molte indagini anche per le potenziali ricadute nella pratica clinica che sono in grado di favorire.
Si sta, in particolare, evidenziando come gli steroidi biliari primari (secreti durante i pasti) sia loro cataboliti batterici (steroidi biliari secondari) possano contribuire alla regolazione
- dell’assetto immunitario, modulando soprattutto l’equilibrio e l’attivita’ delle popolazioni linfocitarie Th17 (proinfiammatorie) e Treg (antiinfiammatorie);
- dell’equilibrio metabolico dell’ospite.
È stato in precedenza mostrato come
- l’acido 3-osso-litocolico sia in grado di contrastare la differenziazione dei linfociti Th17 e come
- l’acido isoallo-litocolico (Iso-allo-LCA)
- l’acido iso-deossi-colico (iso-DCA)
siano in grado specificamente di modulare la differenziazione dei linfociti Treg.
Un recente lavoro pubblicato su Nature (Univ. di Harvard) ha evidenziato come certe specie batteriche intestinali, catabolizzando certi acidi biliari primari, sarebbero in grado di contrastare il differenziamento dei linfociti Th17; in particolare certi derivati biliari come
- l’acido 3-osso-litocolico (3-oxo-LCA), che agirebbe attraverso il blocco dell’attivita’ del recettore orfano ROR correlato al recettore dell’acido gamma-retinoico; 3-oxo-LCA e’ assente in topi germ-free;
- l’acido iso-litocolico (iso-LCA) pure in grado di bloccare il recettore nucleare orfano gamma-t correlato al recettore dell’acido retinoico; ed i geni batterici correlati al loro metabolismo
(3-alfa-idrossisteroide deidrogenasi) sarebbero correlati alla inibizione del differenziamento dei linfociti Th17, mentre sarebbero meno espressi nella malattia infiammatoria intestinale (IBD), all’opposto dei geni correlati ai linfociti Th17 probabilmente correlati alla gravita’ della patologia.
I livelli di 3-oxo-LCA e iso-LCA (e la correlata configurazione del microbioma), coerentemente con questa ipotesi, sarebbero maggiormente significativi negli individui centenari.
Tra le specie intestinali 238 (appartenenti a 12 generi) si sono dimostrate in grado di favorire la catabolizzazione di LCA in 3-oxo-LCA tra cui
- Eggertella lenta (conferma di altre ricerche sul tema)
- Gordonibacter pamelaeae
- Raoultibacter massiliensis
- Collinsella intestinalis
- Adlercreutzia equolifaciens
- Clostridium citroniae.
Uno studio di significato opposto del 2018 pubblicato su Nature Communications (IRCCS Ospedale S. Raffaele di Milano) ha evidenziato un potenziale effetto sistemico del microbiota (Prevotella heparinolytica) sulla proliferazione di linfociti infiammatori coinvolti nello sviluppo di una malattia neoplastica (mieloma multiplo).
Anche per talune forme di artriti autoimmuni sono state trovate correlazioni simili con la Prevotella copri.
L’IL-17 prodotta da linfociti attivati in sede intestinale (e migrati) sarebbe determinante sulla fase di esordio e diffusione della malattia infiammatoria; a dimostrazione di questo si è operato sperimentalmente creando diversi gruppi di animali di laboratorio
- trattati con antiinfiammatori e con antibiotici (eliminando il microbiota infiammatorio)
- trattati con specifici ceppi batterici ad azione antiinfiammatoria ed ottenendo sempre un significativo contrasto all’evoluzione della malattia.
Il mieloma è un tumore delle plasmacellule (produttrici di anticorpi) che, concentrandosi a livello midollare, producono il classico e grave quadro sintomatologico.
IL-17 su alcune linee cellulari (come le plasmacellule) sembra avere un effetto favorevole alla sopravvivenza ed alla proliferazione.
Tale scoperta potrebbe avere rilevanza sia diagnostica (nella individuazione di soggetti asintomatici) che terapeutica, sopprimendo il processo infiammatorio che sostiene la crescita del processo neoplastico.
MICROBIOMA, VITAMINA D E INFIAMMAZIONE
La carenza di vitamina D nella popolazione è considerata molto frequente dalle maggiori società scientifiche (circa il 40 % dei cittadini europei e statunitensi, specialmente nelle regioni piu’ settentrionali).
Alcune ricerche evidenziano una correlazione tra
- disbiosi intestinale
- livelli di vitamina D
- processi infiammatori.
Sono stati pubblicati studi a sostegno dei benefici di supplementi di integrazioni di vitamina D in certe patologie infiammatorie croniche. Molte altre ricerche hanno anche indicato come, nei malati di patologie croniche, la supplementazione della vitamina incida sulla composizione del microbiota.
Uno studio pubblicato su Frontiers in Cellular and Infection Microbiology (Sang Hoon Lee e coll., Kangwon National University School of Medicine sudcoreana) ha evidenziato come una supplementazione in vitamina D possa ridurre la gravità e l’incidenza delle recidive di infezioni da Clostridium difficile CDI (frequenti e gravi patologie nosocomiali) modificando significativamente il microbiota con incremento di popolazioni come
- Bifidobacteriaceae
- Christensenellaceae.
Altri studi avevano già evidenziato come uno stato carenziale di tale vitamina fosse già correlato ad un aumento del rischio e della gravità della CDI.
Uno stato di disbiosi, per altro, è in grado di condizionare negativamente l’assorbimento della vitamina e l’efficacia della sua integrazione.
Una recente ricerca pubblicata su Scientific Reports (Parul Singh della Sidra Medicine di Doha) su un piccolo gruppo di donne (80) carenti in vitamina D ha evidenziato, dopo somministrazione della vitamina (50.000 UI per 12 settimane), senza importanti cambiamenti della dieta, pur in dipendenza con lo stato preesistente dell’equilibrio del microbiota,
- un aumento della biodiversità batterica
- un aumento del rapporto Bacteroides/Firmicutes.
Al fine sono state monitorate le variazioni fecali ed ematiche legate al microbiota ed ai processi metabolici correlati evidenziando, in particolare,
- un incremento della calcemia
- un miglioramento della funzione renale segnalato dai valori di urea, azoto, creatinina e AST/ALT.
Circa 1/10 del campione ha continuato a mostrare uno stato carenziale (non responder).
In particolare, a livello del microbiota prima e dopo della supplementazione nei responders
- Firmicutes (F) dal 55,86 % al 50,57 %
- Bacteroidetes (B) dal 40,70 % al 43,62 % con cambiamenti di abbondanza relativa a favore di Bacteroides, Parabacteroides e Alistipes; un basso livello di Bacteroides acidifaciens e’ stato correlato coi non responders; B/F cresce nei responder;
- Actinobacteria da 1,9-2 % a 3,1 % (soprattutto Bifidobacteria)
- Proteobacteria 1,15 % in decremento (aumento nei non responder)
- Verrucomicrobia da 0,21 % al 0,95 % (soprattutto Akkermansia)
mentre a livello del microbioma si sono notate interferenze a livello del metabolismo di
- lipidi (coinvolto nell’assorbimento della vitamina D)
- folati
- certi aminoacidi (es. glicina, serina e treonina).
Si ritiene, alla luce di tali risultati, che lo stato del microbioma possa costituire un target indiretto sullo stato effettivo della vitamina D.
CONCLUSIONI
Dai dati ancora incompleti disponibili si sta evidenziando una correlazione tra il regime alimentare (e il livello di certe vitamine come la D), lo stile di vita (es. livello di esercizio fisico all’aria aperta con esposizione alla luce solare) e configurazione del microbioma possano in qualche modo determinare la genesi e/o il decorso di gravi disordini immunitari-infiammatori attualmente difficili da trattare mediante anche attraverso le odierne terapie farmacologiche.
È possibile che in un futuro prossimo possano svilupparsi approcci terapeutici integrati capaci non solo di supportare le terapie ma anche di ottenere successi clinici più significativi, persistenti e maggiormente tollerati dai pazienti, per i quali anche modesti ma non trascurabili miglioramenti nella qualità della vita sono di importanza inestimabile.
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