Con sentenza n. 9847 del 28 settembre 2020 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio è entrato nel merito del rapporto tra somministrazione di alimenti e bevande e vendita di prodotti alimentari con consumo sul posto.
In particolare, decidendo su un’impugnazione di determinazione dirigenziale per ordine di cessazione attività di somministrazione abusivamente intrapresa, ha motivato sui limiti delle attività gastronomiche di tipo artigianale e sulla nozione di servizio assistito.
La determina impugnata, infatti, ha prescritto la cessazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande intrapresa a seguito di SCIA di laboratorio di gastronomia fredda e di vicinato per svolgimento di attività di somministrazione al pubblico di alimenti.
I fatti di causa: i tavoli ed i menù
All’esito di sopralluogo eseguito dalla Polizia locale, infatti, è stato accertato che la “titolare di laboratorio di gastronomia fredda e vicinato alimentare, ha attivato un esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande privo della prescritta autorizzazione amministrativa e/o Scia”.
All’interno del locale – nelle aree indicate planimetria come disimpegno, vendita e sottonegozio – sono state rinvenute “salette attrezzate con tavoli e sedie, dove si effettua la mescita di vino in calice”, munite di “menù di tipo ristorazione in cui sono offerti piatti e pietanze calde”.
Per tali ragioni, è stata contestataal titolare anche l’omissione di comunicazione alla ASL competente tramite SUAP dell’aggiornamento della registrazione: autorizzato per laboratorio e vicinato, di fatto ha “attrezzato una cucina per la trasformazione e cottura di sostanze alimentari ovvero servizio ristorante…”.
Il Tar Lazio con la sentenza in esame affronta “l’intera tematica alla luce anche di alcune recentissime decisioni del Giudice di appello”.
Il discrimen sulla facoltà di consumo sul posto
La motivazione muove dall’individuazione dei criteri e dei connotati volti a discriminare
- l’esercizio di somministrazione alimenti e bevande (ristoranti e simili)
- dagli esercizi di vendita di prodotti alimentari (per asporto) con facoltà di consumo immediato sul posto (entro i locali dell’azienda), ma con esclusione del servizio assistito.
La prima (la ristorazione) è sottoposta a severi e penetranti limiti (sia di modalità di servizio che di contingentamento nell’ambito della speciale disciplina territoriale comunale) che non trovano applicazione alla seconda.
Dal che la prima criticità: una eccessiva dilatazione della seconda comporterebbe inevitabilmente “la frustrazione delle finalità di interesse generale che giustificano la più severa regolamentazione delle attività di ristorazione vere e proprie”.
In prassi e giurisprudenza si sono sollevati numerosi contrasti interpretativi, proprio sulla definizione della nozione di “servizio assistito”.
Proprio il servizio assistito diventa, a parere del Giudice amministrativo, il perno della differenza tra le due nozioni, ovvero tra la ristorazione (che include il servizio assistito) e la vendita di prodotti alimentari con consumo sul posto (che esclude il servizio assistito).
L’interpretazione del concetto di servizio assistito
Una prima interpretazione – propria anche dell’AGCOM – vuole che il servizio assistito che non deve ricorrere nel consumo sul posto sia costituito soltanto dal “servizio ai tavoli”, inteso come presenza di personale dedicato a raccogliere le ordinazioni dei clienti e, successivamente, a servire le pietanze al tavolo.
Tale interpretaizone é sancita dalla sentenza Consiglio di Stato n. 2280/2019: in mancanza di servizio al tavolo si configura conmsumo sul posto.
Diverso l’orientamento della giurisprudenza univoca del giudice di primo grado, confermato dal Consiglio di Stato in sentenze nr. 8923/2019 e n. 2427/2020.
Secondo tale orientamento, il servizio assistito è una nozione funzionale, che attiene alle modalità complessive dell’offerta da verificare caso per caso, con riferimento tra l’altro
- alla tipologia degli arredi
- alla prevalenza economica del prodotto venduto
- alla caratteristica dell’offerta del prodotto da vendersi a peso e non a porzione
- all’assenza di mescita.
Ed invece, si legge in sentenza, alcuni interpreti hanno “via via gradualmente ampliato i confini fino a pervenire a modalità di erogazione del “consumo sul posto” come vere e proprie figure succedanee della ristorazione (in termini di qualità e quantità di prodotti preparati erogati) che utilizzano le SCIA alimentari come schermo formale (per usufruire della più favorevole e meno penetrante disciplina, rispetto a quella che regola la ristorazione)”.
La tutela della concorrenza ed il consumo immediato dei prodotti
La questione verte proprio sulla necessità dell’esatta interpretazione della norma di cui all’art. 3 comma 1 lett. f-bis del D.L. n. 223/2006.
La disposizione prevede che “le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: … il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie”.
Il contrasto giurisprudenziale. Verso una Adunanza Plenaria?
Sull’interpretazione della norma si registra un evidente contrasto giurisprudenziale, anche in sede di appello.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 8923 del 31 dicembre 2019, ha aderito alla seconda interpretazione circa la verifica caso per caso modificando la precedente n. 2280 dell’8 aprile 2019, ma tale pronuncia non ha segnato (l’avvio di) una radicale inversione di indirizzo.
Continuano ad alternarsi pronunce conformi alla decisione n. 2280/2019 (sentenze nn. 2345 e 2346 del 09.4.2020) e pronunce dal tenore opposto (Cons. St, ordd. nn. 3425, 3427, 3429 e 3431 del 12.6.2020, sent. n. 2427 del 15.4.2020).
Il contrasto giurisprudenziale, che permane anche a distanza di pochi giorni dalla pubblicazione delle sentenze, porta il Tar Lazio a “sollecitare la rimessione della risoluzione del suddetto conflitto di giurisprudenza interno alla stessa Sezione del Consiglio di Stato all’Adunanza Plenaria, auspicando la conferma dell’opzione ermeneutica di Consiglio di Stato 8923/2019”.
Anticipando, dunque, una compiuta disamina del settore, che si riporta.
Sul rapporto tra somministrazione e vendita di prodotti alimentari
Il Tar Lazio, nella disamina del contrasto giurisprudenziale, ritiene di dover “meglio inquadrare il rapporto tra le due figure commerciali (ristorazione e consumo sul posto), ponendo l’accento sui requisiti, soggettivi ed oggettivi, richiesti per aprire un esercizio di vicinato e per avviare un’attività di somministrazione”.
La sentenza in esame riporta, a tal proposito, alcuni riferimenti normativi.
Requisiti di onorabilità
L’art. 71 del d.lgs n. 59 del 2010, nel primo comma, detta dei requisiti di onorabilità comuni alle due figure professionali prescrivendo, al secondo comma, dei requisiti aggiuntivi per i soli esercenti l’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
A costoro detta attività è preclusa se “hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, nonché per reati relativi ad infrazioni alle norme sui giochi”.
Requisiti di sorvegliabilità
I gravosi requisiti di sorvegliabilità esterna ed interna, ai sensi del DM 564 del 1992, devono essere osservati da parte di tutti i locali e le aree adibiti, anche temporaneamente o per attività stagionale, ad esercizio per la somministrazione al pubblico di alimenti o bevande.
A titolo esemplificativo, gli ingressi devono consentire l’accesso diretto dalla strada, piazza o altro luogo pubblico e non possono essere utilizzati per l’accesso ad abitazioni private.
Requisito di visitabilità e barriere architettoniche
Ulteriore riferimento riguarda la disposizione di cui ai punti 4.1.6. e 8.1.6. del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236 richiamato dal d.P.R. 24.7.1996, n. 503 (Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici).
L’art. 3 punto 3.4 lett. “b” chiarisce “con specifico riguardo anche agli esercizi di ristorazione, che il requisito della visitabilità (da intendersi quale “livello di accessibilità limitato ad una parte più o meno estesa dell’edificio o delle unità immobiliari, che consente comunque ogni tipo di relazione fondamentale anche alla persona con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale”) si intende soddisfatto se almeno una zona riservata al pubblico, oltre a un servizio igienico, sono accessibili”.
Gli esercizi di ristorazione devono, dunque, essere strutturati in maniera tale da consentire a persone portatrici di handicap di accedere, senza limitazione di barriere, ad un servizio igienico di capienza tale da consentire l’ingresso con sedia a rotelle, pena la non agibilità dei relativi locali.
La regolamentazione per il Centro Storico di Roma
Il Tar Lazio entra, poi, nel merito delle specifiche della regolamentazione delle attività commerciali nel Centro Storico di Roma, di interesse per la fattispecie decisa (tra cui salvaguardia del pregio artistico e storico).
Sussistono, tra l’altro,
- inibizioni all’apertura di nuovi esercizi di somministrazione (artt. 10 ed 11 DAC nr. 35/2010)
- determinati requisiti tipologici e strutturali relativi ai locali e requisiti di qualità riferiti ai titolari dell’attività (art. 4 DAC nr. 35/2010) e alle caratteristiche dell’offerta e dei prodotti (art. 9 DAC nr. 35/2010).
Le conseguenze giuridiche in caso di discrimen sul solo servizio assistito
Il Tar Lazio, ricostruita la normativa che confronta le due attività, anticipa due interessanti conseguenze giuridiche nel caso in cui si dovesse confermare la prima interpretazione, quella di cui alla sentenza del Consiglio di Stato nr. 2280/2019 che pone unico criterio di differenziazione il servizio assistito (servizio dei camerieri ai tavoli).
Questione di legittimità costituzionale o….
A parere del Giudice amministrativo di primo grado, infatti, si pone una questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lett. f-bis), d.l. n. 223 del 2006, per violazione dell’art. 3 e 41 della Costituzione.
In questo caso, infatti, le due fattispecie economicamente e commercialmente distinte (somministrazione e vicinato con asporto) diventerebbero “sostanzialmente similari e sovrapponibili”, ma “risulterebbero disciplinate in maniera l’una estremamente rigorosa e l’altra in maniera sostanzialmente liberalizzata.
Il che contrasterebbe il dettato costituzionale in punto di principio di uguiaglianza e libertà dell’iniziativa economica privata.
… paritetiche restrizioni in caso di consumo sul posto?
Il Tar Lazio lascia intendere che sia più verosimile la seconda alternativa: “anche le attività di vicinato alimentare, una volta attivato il consumo sul posto, non potranno che essere assoggettate ai medesimi limiti e restrizioni”.
In questo caso, però, sorgerebbe comunque una difficoltà applicativa per cui “essendo il consumo sul posto una mera modalità eventuale della vendita di prodotti alimentari, si rischierà di assoggettare a restrizione anche esercizi che offrano una modalità solo contenuta di consumo sul posto” e che, dunque, non sarebbe giusto limitare”.
Sui limiti e sull’oggetto delle attività gastronomiche di tipo artigianale
Ai fini del decidere, il Tar Lazio compie una disamina dei limiti e delle condizioni di vendita che definiscono l’attività dell’artigiano alimentare.
Nella normativa statale, l’artigiano è colui
- che “esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”
- che è iscritto all’Albo previsto dall’art. 5 della Legge n. 443 del 1985.
La distinzione tra ristorazione e somministrazione di prodotti di gastronomia nella giurisprudenza
La sentenza riporta la giurisprudenza per la quale è stata chiarita la distinzione tra ristorazione e somministrazione di prodotti di gastronomia.
Si ritiene che “la distinzione tra attività di ristorazione e attività di somministrazione di prodotti di GASTRONOMIA, posta dall’art. 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, …, viene ricondotta all’accertamento che la cottura o la manipolazione dei cibi sia effettuata, o non, all’interno dei locali dedicati all’attività dell’esercizio pubblico, attraverso la predisposizione di idonea attrezzatura” (ex plurimis, Cassazione civ. sez. I, 5 maggio 2006, n. 10393, Cons. St. Sez. V, 04/05/1998, n. 499).
Nel primo caso si può parlare di attività di ristorazione, che ricade nell’ambito dell’autorizzazione per la tipologia A del citato art. 5 della legge n. 287/1991.
Nel caso “in cui le pietanze siano predisposte in locali diversi o la manipolazione in loco sia costituita da operazioni di composizione dei piatti con materie prime che non debbono subire trasformazioni (cottura) o per le quali sia sufficiente il semplice riscaldamento prima del servizio al cliente, deve ritenersi integrata l’ipotesi della somministrazione di prodotti di GASTRONOMIA, consentita ai titolari di autorizzazione di tipo B”.
La nozione di gastronomia
Nella nozione di “gastronomia”, precisa la sentenza, vanno considerati compresi “tutti gli alimenti che siano stati altrove confezionati e che vengano offerti, pronti al consumo, previa quella semplice operazione di riscaldamento (a piastra od a forno) che è l’unica consentita in quel genere di esercizi”.
Nella species dei prodotti in questione non rientrano “tutte le ipotesi di cibi che siano cucinati nel locale, e non rileva se preventivamente od a richiesta del cliente, posto che la presenza di una organizzazione per la preparazione dei pasti (locali, macchinari, personale) è propria e peculiare dell’esercizio di ristorazione di cui all’art. 5, comma 1, lett. A cit.”
Di conseguenza, ritiene il Tar Lazio, “il titolare di vicinato alimentare che intende servirsi del consumo sul posto non può somministrare pietanze che egli stesso cuoce o alle quali riservi una preparazione diversa dal semplice riscaldamento, perchè in tal caso si ricadrebbe nell’ambito del servizio di somministrazione”.
Artigiano alimentare, Albo, titolo commerciale, consumo sul posto: le quattro ipotesi
Proprio in riferimento a tale giurisprudenza ed alla normativa nazionale di settore, e nello specifico anche alla normativa regionale applicabile per i fatti di causa, la sentenza esaminata distingue quattro situazioni, che si riportano testualmente:
a) l’artigiano alimentare iscritto all’Albo svolge attività non soggetta alla disciplina sul commercio ma regolamentata da apposite disposizioni legislative (statali e regionali) che gli consentono, senza munirsi di alcun titolo commerciale (Scia, Dia, autorizzazione, ecc.) di effettuare l’attività di VENDITA, nei locali di lavorazione, o in quelli adiacenti, dei beni di produzione PROPRIA; la medesima disciplina gli permette il CONSUMO sul posto, immediato, dei medesimi beni utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie, in materia di inquinamento acustico e di sicurezza alimentare. Non può, anche se iscritto all’Albo, vendere o consentire il consumo sul posto di beni alimentari (gastronomia compresa) che non siano di propria produzione, salvo che si munisca di una licenza di vicinato alimentare (oggi Scia);
b) l’artigiano alimentare non iscritto all’Albo altro non è che un soggetto che svolge attività di produzione e trasformazione alimentare per la quale necessita di una Scia di laboratorio di gastronomia (termine questo da intendere giuridicamente nel significato sopra delineato e non nell’accezione comune); la relativa Scia non permette il consumo sul posto di prodotti di propria produzione ed è, ben diversamente, il titolo necessario per avviare un’attività di produzione e trasformazione alimentare (che non lo abilita alla vendita dei relativi prodotti e quindi neppure al consumo sul posto);
c) l’esercente attività di laboratorio NON iscritto all’Albo, ma detentore di una licenza di vicinato alimentare è soggetto, giuridicamente, equiparato a detto esercente di vicinato e la relativa attività, conseguentemente, è sottoposta alla disciplina commerciale. Può vendere prodotti alimentari (compresi, ai soli fini di asporto, quelli prodotti e trasformati in sede) ma l’art. 3, comma 1, lett. f-bis), d.l. n. 223 del 2006 (Bersani), convertito con modificazioni dalla L.n. 248 del 2006, gli permette di far consumare sul posto i soli prodotti di GASTRONOMIA. Non può far consumare sul posto i prodotti alimentari di PROPRIA produzione: nessuna norma lo abilita a tanto ed ove eserciti tale attività – utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda e pur con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione – intraprende una somministrazione non consentita in quanto non detentore di una licenza di cui alla lett.a) dell’art. 5 della L. n. 287 del 1991;
d) l’esercente di vicinato alimentare, oltre a poter vendere tutti i prodotti alimentari, può far consumare sul posto solo i prodotti di GASTRONOMIA; non gli è consentito, in alcun modo, il CONSUMO sul posto dei prodotti che eventualmente produce a livello artigianale avvalendosi della Scia di laboratorio; ed anche qui la violazione del precetto – utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda e pur con l’esclusione del servizio assistito- genera un servizio di somministrazione che, in assenza della relativa abilitazione (e dunque di una licenza di tipo a) sopra richiamata), deve ritenersi abusivamente condotto.
Sulla nozione di “servizio assistito”
Il Tar Lazio opera la distinzione delle fattispecie tra consumo consentito e servizio assistito.
Nella ristorazione il servizio che l’azienda predispone ed offre al pubblico è funzionalmente rivolto a consentire al cliente di accedere al locale allo scopo di trattenersi in esso e consumare i pasti (caldi o freddi, a seconda dell’offerta).
Si ravvisa un contratto di compravendita mista all’erogazione di un servizio, “laddove quest’ultimo è prevalente sulla prima e la fornitura di prodotti alimentari è assorbita nella lavorazione degli stessi al fine della consumazione immediata”.
La vendita di prodotti alimentari con facoltà di consumo sul posto, invece, é “attività che ha ad oggetto funzionalmente la compravendita, ovvero la fornitura al cliente di un prodotto alimentare grezzo, (solo) eventualmente già trattato (cucinato), ma comunque destinato all’asporto, ovvero al consumo presso luoghi diversi dall’azienda (abitazione e quant’altro)”.
In questa fattispecie, il “consumo” immediato (nei locali dell’azienda fornitrice), come servizio accessorio, è solamente “consentito”.
Il Tar Lazio, dunque, predilige l’interpretazione della sentenza Consiglio di Stato n. 8923/2019 rispetto a quella n. 2280/2019.
Per tale ragione, motiva il rigetto del ricorso evidenziando che “ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f bis) del DL 223/2006, il consumo immediato di prodotti da asporto all’interno di esercizi abilitati, si distingue dalla ristorazione … secondo un criterio sostanziale di accessorietà rispetto alla vendita da asporto, che deve mantenere un carattere prevalente e funzionale”.
L’assenza di servizio assistito va intesa come criterio “funzionale”.
Per il Tar Lazio l’assenza di servizio assistitorinvia ad un concreto assetto dell’organizzazione dell’offerta – quindi da accertarsi caso per caso – rivolto a mantenere il consumo sul posto come una semplice facoltà della clientela.
Contrariamente a quanto affermato anche dal Consiglio di Stato, la nozione non può esaurirsi con la “semplice presenza o assenza di camerieri”, tenendo invece presente le concrete dinamiche ed interrelazioni tra le componenti oggettive del locale, inclusi quindi gli arredi, nonché le modalità di presentazione ed offerta dei prodotti.
Nel caso in questione, il Giudice amministrativo ha ritenuto rilevanti nella valutazione caso per caso la presenza di
- stigliature tipiche della ristorazione, con piani d’appoggio e sedute abbinabili, da mescita di vino ed alcolici,
- sgabelli alti che fungono da piani d’appoggio abbinati a sedute effettuate con sgabelli bassi
- menù affisso al muro in cui si offrono cibi e bevande a porzione e a tagliere, con le modalità della ristorazione.
Tali circostanze sono state ritenute indici deponenti per lo svolgimento di una non consentita attività di somministrazione.
INDICAZIONI SULLA SALUTE SUI PRODOTTI ALIMENTARI. LA PRONUNCIA DELLA CGUE
Il presente articolo, ai sensi del Regolamento, ha finalità meramente informativa e divulgativa della sentenza in commento; non può costituire un parere legale, potendo non tener conto del complesso normativo e giurisprudenziale anche in punto di successivi aggiornamenti per gravami o riforme.