"LA RICETTA DI IERI" di De Cibi Historia. ? In ogni articolo proponiamo un'antica ricetta, di epoche lontane o delle nostre tradizioni locali, raccontandone l'origine e le curiosità. Per chi vorrà dilettarsi in cucina, non mancheranno i consigli per trasformarla nella "ricetta di oggi" ?.
L’ingrediente di oggi per la Ricetta di ieri è il miele.
Prendete un cucchiaino di miele e, prima di gustarlo, guardatelo e vedrete l’eternità.
Non è un modo di dire; il miele è “immortale”, la cattiva conservazione od il decorso del tempo possono soltanto alterarne le proprietà nutrizionali.
E questo gli antichi lo sapevano bene, ragion per cui è il protagonista di tanti riti e tradizioni anche a sugellare il “per sempre”.
Le origini divine del miele nell’Antico Egitto
Per gli antichi Egizi il miele era sacro.
Le lacrime del dio Ra, il dio Sole, cadendo a terra si trasformarono in api. Le api crearono il loro alveare e iniziarono a produrre il miele che, quindi, deriva direttamente dal divino.
Le api erano un dono all’uomo, e come tale andavano protette e rispettate.
Il miele non era soltanto un alimento per dolcificare e conservare, ma era anche una sorta di chiave per l’immortalità – veniva utilizzato nei riti di mummificazione -, con proprietà taumaturgiche e a volte magiche.
Era, dunque, un regalo dagli dei, ma anche per gli dei.
Nelle tombe egizie, si sa, sono state ritrovati più contenitori ancora pieni di miele, effettivamente inalterato.
Il mantello fenicio
Storia o tradizione vogliono che siano stati gli antichi Fenici, già intorno al 1.200 a.C., ad utilizzare il colorante più pregiato derivato da alcuni molluschi (murici), per colorare e così impreziosire tessuti ed in particolare i mantelli destinati: la porpora.
Gli antichi Greci raccolgono questa tradizione tanto che il termine usato per indicare il nome del colore è proprio phòinix.
La caratteristica che rende divina e regale la porpora è proprio l’immortalità: si tratta praticamente di un colore indelebile, resistente anche a ripetuti lavaggi.
Sarà un caso che, in fase di tinteggiatura di capi preziosi, la porpora venisse mescolata anche con il miele? Probabilmente la ricetta non si limitava soltanto ad una necessità cromatica, ma andava a fortificare quel senso di eterno, e quindi divino.
Del resto, i Fenici erano noti amanti del miele e antichi promotori dell’apicoltura.
Nella storia alimentare, sono ritenuti gli inventori del piatto unico, una sorta di farinata a base di farina di cereali e legumi, uova, formaggio e miele secondo la ricetta tramandata da Catone della minestra punica.
Ed il binomio di porpora e miele lo ritroviamo nel Satyricon di Petronio, quando il liberto arricchito Trimalcione disegna attorno a sé lo sfarzo ed il potere “avvolto in un manto rosso porpora” banchettando con carne glassata al miele e vino mielato.
L’ambrosia ed il nettare degli dei
Ci perdonino gli storici se non ci soffermiamo troppo sulle complesse ricerche e tesi in materia, ma per disegnare il contesto della ricetta di ieri semplificheremo.
Nell’antica Grecia gli dei per garantirsi l’immortalità mangiavano l’ambrosia e bevevano il nettare: secondo le teorie più accreditate, gli dei per essere immortali consumavano miele selvatico e bevevano idromele o comunque miele allo stato liquido.
Lo stesso Zeus, padre dell’Olimpo, era stato nutrito da neonato da latte (della capra Amaltea) e miele.
Il miele era, dunque, la ricetta dell’immortalità, e gli antichi Romani recepiscono a buon grado questa tradizione, confermando il valore unisono del miele nelle civiltà antiche.
Il miele cade dal cielo
Sembra impossibile oggi, ma gli antichi Romani ritenevano che il miele non fosse prodotto dalle api, ma semplicemente raccolto.
Il miele pioveva dal cielo, a conferma della sacralità del dono, e le api lo raccoglievano e conservavano.
Già lo scienziato greco Aristotele, nel IV sec. a. C., aveva elaborato la propria teoria, per cui il miele cadeva dall’aria dopo il tramonto (De Generatione Animalium) e le api lo raccoglievano dalle corolle dei fiori.
Che le api fossero mere bottinatrici di miele e non di nettare viene scritto per secoli.
Lo stesso Virgilio nel I sec. a.C., dedica ampio spazio alle api nelle sue Georgiche (Georgiche IV, 149 – 227), con una maestria che meriterebbe lettura.
Le api sono ricche di virtù per dono di Giove, riconoscente per il nutrimento fornito quando era in fasce.
Raccolgono il miele e appartengono ad una razza immortale – “si può risalire agli avi degli avi” – nonostante la loro breve vita ritenuta all’epoca di sette anni (Ergo ipsas quamvis angusti terminus aevi excipiat, neque enim plus septima ducitur aestas, at genus immortale manet multosque per annos stat fortuna domus et avi numerantur avorum).
Per Virgilio, dunque, le api sono parte della mente divina (His quidam signis atque haec exempla secuti esse apibus partem divinae mentis et haustus aetherios dixere).
Il miele dono di nozze
Il miele, per le proprie caratteristiche e per le tradizioni anche mitologiche, richiama l’eterno.
Inevitabile quindi associare al miele il miglior augurio per un matrimonio.
La stessa Venere, racconta Ovidio, ha bevuto una bevanda a base di latte e miele nel giorno del proprio matrimonio con il dio Vulcano, matrimonio che a dir il vero non ebbe poi tanta fortuna.
La ricetta é nota.
Il cocetum era, appunto, la bevanda a base di “bianco latte” e miele liquido con semi di papavero tostati e tritati che veniva offerta alla sposa romana proprio il giorno delle nozze e che le donne bevevano durante la festa dei Veneralia per buon auspicio.
Ancor prima i Babilonesi, nel secondo millennio a.C., donavano il miele nel giorno delle nozze, ed in particolare il padre della sposa donava al futuro genero una bevanda a base di mele (idromele?), in quantità che bastasse almeno un mese come buon auspicio di fertilità e prosperità.
La tradizione resta immutata fino nel Medioevo, che vede nel barattolo di miele il regalo più propizio per lo sposo (sempre da parte dei suoceri).
Non è un caso che il periodo successivo alle nozze si chiami oggi, quasi ovunque, luna di miele e che ancora oggi il vasetto di miele sia molto apprezzato come bomboniera di nozze.
Proprio a base di latte e miele sono spesso i dolci tipici dei banchetti cerimoniali antichi, dalle frittelle degli Etruschi fino al bianco-mangiare al miele nel Medioevo.
Il Miele per i Maori
Il Manuka é una pianta medicinale utilizzata dalla popolazione nativa dei Maori della Nuova Zelanda come rimedio curativo riconoscendone proprietà antimicrobiche e antimicotiche.
Nella medicina tradizionale Maori grande importanza ancora oggi riveste il miele di Manuka.
Miele di Manuka (link sponsorizzato)
LA RICETTA DI IERI: Tyropatinam (budino di latte e uova) di Apicio
Molto probabilmente Apicio (De Re Coquinaria, libro VII) tramanda una ricetta tradizionale etrusca; potrebbe essere l’antenato del nostro creme – caramel.
Apicio (De Re Coquinaria, libro VII)
Leggiamo la ricetta nel suo testo originale;
Accipies lac, quod adversus patinam aestimabis, temperabis lac cum melle quasi ad lactantia, ova quinque ad sextarium mittis, si ad heminam, ova tria. In lacte dissulvis ita ut unum corpus facias, in cumana colas et igni lento coques. Cum duxerit ad se, piper aspargis et inferes.
(traduzione non letterale) Prendi del latte in base alla capienza del tegame, stemperalo con miele come a creare un formaggio, unisci cinque uova per un sestario di latte (poco più di mezzo litro) o se meno tre uova. Sciogli tutto nel latte fino a creare una crema omogenea. Versa nella pentola e cuoci a fuoco lento. Quanto si sarà rappreso, cospargi di pepe e servi.
LA RICETTA DI OGGI
La ricetta potrebbe essere attualizzata: lavorare in una ciotola 200 g. di formaggio spalmabile (probabilmente il lactantia citato da Apicio), mezzo litro di latte intero, 5 uova e 5 cucchiai di miele, anche utilizzando uno sbattitore elettrico. Versare in uno stampo da forno e cuocere, preferibilmente a bagnomaria (in una teglia con acqua che non superi il bordo dello stampo neppure in caso di bollore) a fuoco moderato (circa 130°) per oltre un’ora. Una volta cotto, far raffreddare il budino, sformare e spolverare con pepe appena macinato.
Se il pepe è poco gradito, è possibile utilizzare cannella o coriandolo, spezie anch’esse molto amate dagli Etruschi.
Quale miele utilizzare?
Con il miele millefiori non si sbaglia, ma se si vuole rievocare un gusto antico pregiato, sarebbe preferibile utilizzare il miele di timo, tanto amato nell’antica Roma proveniente dalle Isole Greche, o altro miele purché aromatico e persistente al palato.
Se nei dolci è tanto apprezzato il miele di acacia, ricordiamo che la pianta della robinia, dal cui nettare trae origine il miele di acacia, è stata importata in Europa nel XVII secolo.
Per sapere di più sui Veneralia ed il concetum a base di miele, leggi articolo