Dal tramezzino al dolce, i piaceri di Gabriele D’Annunzio

Nell’anniversario della morte, ricordiamo Gabriele D’annunzio attraverso la sua tavola. A lui si deve il nome del tramezzino e la prima “recensione” del parrozzo. I bigliettini alla cuoca ed il suo piatto preferito.
Pubblicato su Marzo 01, 2021, 6:40 pm
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Oggi ricorre l’anniversario della morte di Gabriele D’Annunzio, avvenuta a il 1° marzo 1938 a Gardone Riviera, tra i massimi esponenti letterari a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento.

Il Vate del decadentismo, estimatore della mondanità e del lusso, è stato anche testimone degli usi della cucina del tempo, diventando promotore della cucina italiana e locale.

Dalle opere possiamo conoscere il suo pensiero in fatto di cibo, ma dalla testimonianza del suo vissuto possiamo scoprire abitudini alimentari ed invenzioni gastronomiche.

Gabriele D’Annunzio ed il tramezzino

Una delle pietanze più diffuse ai giorni nostri deve il suo nome proprio ad una intuizione dello scrittore e del suo desiderio di attribuire un nome in lingua italiana al sandwich inglese: parliamo del tramezzino.

Se oggi è una pietanza tipica di buffet e street food per un pasto veloce, all’epoca le due fette di pane in cassetta farcite di salumi o formaggi – preparazione ideata al Caffè Mulassano in Piazza Castello a Torino – accompagnavano colazioni e spuntini pomeridiani, costituendo così un piacevole intramezzo.

Da qui il nome “tramezzino” coniato da D’Annunzio.

L’arte del dessert

Il lettore non può stupirsi della passione per il dolce che traspare dalle opere di D’Annunzio, occasione in cui traspare anche il piacere di descrivere con la sua penna l’arte del bello nel suo insieme, anche negli aspetti più ricercati.

Ne Il piacere l’importanza gastronomica, ma soprattutto visiva, del dessert è meritevole di uno specifico merita un elogio: il vero lusso d’una mensa sta nel dessert.

Il tavolo dei dolci fatti preparare dalla marchesa Francesca d’Ateleta, in occasione proprio del banchetto in cui Andrea Sperelli conobbe l’amata Elena Muti, sono squisite ed anche rare, ma soprattutto sono “disposte con arte in piatti di cristallo guarniti d’argento”.

Non soltanto sostanza, dunque, ma anche bellezza, il che è in linea con il movimento letterario così come recepito dal poeta abruzzese.

Proprio in terra d’Abruzzo ancora oggi uno dei dolci di eccellenza regionale che è stato riconosciuto quale PAT (prodotto agroalimentare tradizionale), il parrozzo, ha un legame con Gabriele d’Annunzio, che ne è stato il primo illustre estimatore.

Il parrozzo, infatti, è stato ideato a Pescara nel 1920 dal pasticcere Luigi D’Amico, il quale creò una rielaborazione dolce di un’antica ricetta di pane di farina di frumento.

Il pan rozzo richiama la pagnotta povera, arricchita di farina di mandorle e copertura di cioccolato, e fu proprio D’Annunzio tra i primi ad assaggiarlo, rimanendo così deliziato dalla dolcezza da dedicargli una poesia (La Canzone del parrozzo).

La cucina nella vita privata di D’Annunzio. I biglietti alla cuoca

Se nelle opere la gastronomia è occasione per descrivere il bello più che il buono, nella vita privata il piacere della tavola si accompagnava e rendeva merito al piacere della vita.

Uno dei personaggi più importanti della vita dell’autore era Albina Lucarelli Becevello amorevolmente chiamata Suor Intigola, cuoca personale per quasi venti anni, per la quale provava un ricambiato affetto autentico.

D’Annunzio comunicava con Albina tramite bigliettini, che hanno lasciato testimonianza delle abitudini e dei desideri gastronomici.

Il patrimonio lasciato da questi bigliettini è stato raccolto in un libro scritto da Maddalena Santeroni e  Donatella Miliani, La cuoca di D’Annunzio. I biglietti del Vate a «Suor Intingola». Cibi, menù, desideri e inappetenze al Vittoriale (editore UTET).

La passione di D’annunzio per la frutta e le uova sode

Come la lussuosa tavola del dessert è una delle immagini che Andrea Sperelli ne Il piacere ricorda, nella vita quotidiana Gabriele D’Annunzio riservava pietanze elaborate e ben condite ai propri ospiti e alle sue amate, tra cui le speciali costolette o le torte preparate da Albina.

Ma gli alimenti preferiti dal poeta erano di una semplicità disarmante, la frutta e le uova sode.

Della frutta era certamente un estimatore, dedicando ad essa un ruolo importante nella propria dieta: appassionato di uva, mele ed arance.

Ma la grande passione di D’Annunzio erano le uova, in frittata ma soprattutto sode.

Il suo piatto preferito: uova sode sublimate con salsa d’acciughe, piatto semplice ma non per niente facile, visto che la cara Albina veniva omaggiata per la capacità di portare a perfetta cottura l’uovo prima di dividerlo in quattro spicchi.

Le opere di Gabriele D’Annunzio (link pubblicitario)

A tavola si legge

La cuoca di D’Annunzio. I biglietti del Vate a «Suor Intingola». Cibi, menù, desideri e inappetenze al Vittoriale – di Maddalena Santeroni e Donatella Miliani – edizione UTET

(scheda dell’editore)

Per quasi vent’anni Gabriele d’Annunzio comunicò con la sua cuoca per mezzo di una miriade di piccoli biglietti, inviati a ogni ora del giorno e della notte.

Messaggi maliziosi, coloriti e affettuosi, indirizzati da d’Annunzio (o meglio dal “Padre Priore”, come spesso il poeta, nell’insolita corrispondenza, amava firmarsi) alla fedelissima Albina Lucarelli Becevello, alias “Suor Intingola”: l’unica donna con cui d’Annunzio visse in assoluta sintonia – e castità dagli anni veneziani al buen retiro finale nello splendido Vittoriale di Gardone Riviera.

Sono decine e decine i biglietti per Albina a cui il Vate ha affidato, in ogni momento della giornata, le sue imprevedibili richieste culinarie: costolette di vitello e frittata, cannelloni e patatine fritte, pernice fredda, biscotti e cioccolata, ma soprattutto uova sode, sicuramente l’alimento preferito da d’Annunzio, che ne andava così ghiotto da paragonarne gli effetti a quelli di una “estasi divina”.

Salutista attentissimo alla forma fisica, oltre che raffinato gourmet, d’Annunzio alternava infatti giorni di digiuno quasi completo a scorpacciate disordinate e compulsive, spesso provocate dall’arrivo di qualche amante.

Erano quelli i momenti in cui il poeta si sbizzarriva maggiormente in dettagliate disposizioni culinarie, con modi ora scherzosi e poetici ora più perentori, indirizzate alla fidata “Suor Intingola”, sempre pronta a preparare sul momento elaborati menù in cui eros e cibo si combinavano in un sodalizio perfetto.

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